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Mercedes alza l’allarme: con lo stop 2035 il mercato crolla

- di: Bruno Coletta
 
Mercedes alza l’allarme: con lo stop 2035 il mercato crolla
Stop 2035 UE: Mercedes avverte crollo del mercato auto
Källenius invoca un “reality check”: tempi irrealistici, rischio corsa a benzina e diesel. Bruxelles conferma l’obiettivo, ma avvia il riesame. Dati, scenari e voci in campo.

L’ha detto senza giri di parole: se l’Europa confermerà lo stop ai motori a combustione dal 2035 “il mercato può collassare”. Ola Källenius, numero uno di Mercedes-Benz e presidente di ACEA, porta lo scontro ai massimi livelli. Chiede un “reality check”, avverte che il blocco rischia di innescare una corsa finale a benzina e diesel, e che il combinato disposto di domanda debole, concorrenza cinese e incertezze regolatorie è una miscela esplosiva. Le sue parole arrivano mentre Bruxelles ribadisce la rotta a zero emissioni, ma apre la fase formale di revisione delle norme. La posta in gioco è enorme: industria, occupazione, investimenti, competitività. E il tempo stringe.

Cosa ha detto davvero Källenius

Nel colloquio, Källenius chiede un cambio di passo: “Serve un reality check”. E avverte: senza una transizione ancorata alla realtà economica “stiamo andando a tutta velocità contro un muro”, ha avvertito Källenius. Non è una boutade: il manager lega il rischio di crollo a un effetto boomerang del divieto, con i consumatori che anticipano gli acquisti di termiche prima della scadenza, drenando risorse e rallentando l’adozione dell’elettrico proprio negli anni cruciali.

I numeri del mercato: la realtà dietro le percentuali

La domanda di elettriche cresce ma non sfonda. Nel primo semestre 2025 le BEV valgono il 15,6% delle immatricolazioni UE (869.271 unità), in aumento dal 12,5% di un anno prima: progresso evidente, ma ancora minoranza del mercato. Germania vola (+35,1% BEV), Francia arretra (−6,4%), a conferma di un’Europa a macchie di leopardo. Nel complesso, le nuove immatricolazioni UE sono calate dell’1,9% nello stesso periodo.

Mercedes tra prudenza e conti

Nel frattempo Mercedes ricalibra i piani: la quota di elettriche pure nelle consegne globali del gruppo nei primi sei mesi è scesa all’8,4% (20,1% includendo le ibride plug-in), segnale che la transizione necessita di margini, infrastrutture e prezzi dell’energia più favorevoli. Anche l’outlook 2025 è stato ammorbidito, con guidance di redditività ridotta per tener conto dell’impatto dei dazi e della domanda.

La posizione di Bruxelles

La Commissione europea, a marzo, ha confermato la traiettoria: obiettivo zero emissioni allo scarico dal 2035 per auto e furgoni nuovi, con tappe intermedie rafforzate al 2030. In parallelo ha concesso più tempo per centrare alcuni target di conformità, segno che il bilanciamento tra ambizione climatica e fattibilità industriale è in corso. A luglio è partita la fase formale di “call for evidence” per il riesame delle regole: il dossier è aperto e politico.

Il nodo Cina e i dazi

Sul tavolo pesa anche il fronte commerciale. Dal 31 ottobre 2024 l’UE applica dazi anti-sussidi definitivi fino al 35,3% (oltre al 10% ordinario) sulle elettriche prodotte in Cina; nel 2025 Bruxelles e Pechino hanno sondato anche piste come prezzi minimi, senza esito conclusivo. Misure pensate per difendere la filiera europea, ma con effetti collaterali: prezzi alti per i consumatori e rischio ritorsioni su settori sensibili per l’industria tedesca.

Gli argomenti di chi difende il 2035 e perché

Le ONG ambientaliste e una parte dell’industria della mobilità elettrica giudicano vitale non arretrare. La stabilità regolatoria, sostengono, dà certezza agli investimenti in batterie, software, ricarica e nuove competenze in Europa. Rinviare il 2035, avvertono, significherebbe frenare capitali e innovazione proprio mentre Stati Uniti e Cina accelerano.

Incentivi, energia e fiducia: cosa serve davvero

Al netto degli slogan, l’analisi è chiara. Primo: l’elettrico sale, ma a velocità insufficiente per trasformare il mercato in dieci anni se non si aggrediscono i colli di bottiglia (ricarica capillare e affidabile, costi dell’energia, prezzi d’acquisto). Secondo: l’asimmetria competitiva con la Cina non si risolve a colpi di proclami; servono politica industriale, accumulo, materie prime critiche, standard comuni. Terzo: l’ecosistema europeo ha bisogno di una sequenza credibile di incentivi e di una fiscalità coerente (IVA, fringe benefit, flotte, usato). Su questi punti lo stesso Källenius chiede interventi: “Tagliare il costo dell’elettricità alle colonnine, rendere i benefit più attrattivi, evitare scossoni normativi che alimentano l’incertezza”, ha sollecitato Källenius.

La posta in gioco

Qui non c’è un derby ideologico tra passato e futuro. C’è da scegliere come arrivare al 2035 senza devastare la domanda nel 2028-2034, senza scaricare il conto su fornitori e lavoratori e senza consegnare quote di mercato alla concorrenza extra-UE. Tradotto: la transizione o è economicamente realizzabile o implode. E una transizione che implode non taglia la CO₂: la sposta.

L’Europa mantenga l’orizzonte del 2035, ma lo renda praticabile

L’Europa mantenga l’orizzonte del 2035, ma lo renda praticabile. Fissi paletti chiari, incentivi mirati e tariffe di ricarica competitive; coordini gli Stati membri sugli ecobonus; porti a casa accordi commerciali che difendano la filiera senza chiuderla. In assenza di questo, l’avvertimento di Källenius non è allarmismo: è un pronostico. 

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