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L'assalto al Capitol Hill fu un attacco alla democrazia, non solo americana

- di: Redazione
 
L'assalto al Capitol Hill fu un attacco alla democrazia, non solo americana
Mentre, a poche centinaia di metri di distanza, un presidente che non era riuscito a fari rieleggere, incitava alla ribellione, centinaia di suoi sostenitori, il 6 gennaio dello scorso anno, a Washington, diedero l'assalto a Capitol Hill in quello che forse erroneamente è stato giudicato come il più grave attacco alla democrazia americana. ''Erroneamente'' perché ad essere attaccata non fu solo la democrazia degli Stati Uniti, ma il suo concetto universale. Se, e c'è mancato veramente poco, l'attacco avesse avuto successo politico, oltre che sul campo, qualsiasi altra democrazia al mondo sarebbe stata in pericolo, perché se fosse caduta la più forte e consolidata di esse, nessun'altra avrebbe potuto opporsi alla violenza di una piazza sin troppo strumentalizzata.

È passato un anno dall'attacco a Capitol Hill

L'orda di distruttori che si abbatté sul sancta sanctorum della democrazia americana non è stata certamente la prima della Storia, dalla presa delle Tuileries per mano dei rivoluzionari di Francia all'assalto dei bolscevichi al palazzo d'Inverno, a San Pietroburgo. Ma l'attacco al Campidoglio ha avuto un profilo diverso perché, per la prima volta, ad alimentarlo è stata la rete dei social, confermatasi un potentissimo strumento di comunicazione e, anche, di contaminazione delle idee.

Questo è un aspetto, certamente importante, ma non fondamentale come è stata la strategia che c'era dietro, anche se i protagonisti cercano, ancora oggi, di accreditare uno spontaneismo che appare ridicolo. Chi fece convergere davanti ai bianchi marmi del Campidoglio estremisti di colori diversi, sapeva che stava per essere attaccato non un edificio delle Istituzioni, ma un simbolo e per questo, colpirlo, avrebbe avuto un'eco ingigantita.

L'obiettivo era chiaro, come lo è ancora oggi, anche se i repubblicani del Congresso stanno facendo di tutto per impedire alla commissione che è stata istituita di andare sino in fondo. Con l'attacco si voleva certificare la fragilità di una architettura costituzionale vecchia di più di due secoli e che l'America, da quando furono apposte in calce al documento le firme dei Padri fondatori, ha solo corretto in modo marginale. Un fatto che dimostra la saldezza di un modello, ma anche, per converso, la sua troppa esposizione a chi usa la Costituzione, ma per manipolarla.
Parliamo di una democrazia che prevede un lungo 'buco' temporale tra l'elezione del presidente ed il suo insediamento, consentendo ipoteticamente all'uscente di mettersi per traverso alle procedure, magari creando le condizioni per mettere in pericolo le Istituzioni.

I meccanismi di un tempo mostrano per intero la loro vetustà, ma quel che è forse più importante è che nessuno oggi pensa ad emendare le norme che hanno consentito a Donald Trump, come presidente ancora in carica, ma non rieletto, di ergersi a Masaniello dei sostenitori di testi complottistiche, dando loro luce verde. Lo scenario che si sarebbe potuto determinare - se all'assalto al Campidoglio fossero seguite altre e più violente proteste, che avrebbero imposto l'uso della forza da parte dello Stato - avrebbe avuto ripercussioni anche in altri Paesi che, bene o male, vedono negli Stati Uniti un esempio di democrazia compiuta e che si sarebbero dovuti ricredere, sotto le spallate di estremisti di destra, seguaci di sette e movimenti religiosi integralisti, ''semplici'' avversari politici del presidente eletto Joe Biden.

Le azioni (ma anche le 'non azioni') di Donald Trump non avevano certamente l'obiettivo di un colpo di Stato, che sarebbe stato sicuramente avversato della Forze armate, baluardo della democrazia americana. Ma di certo, con i suoi appelli e, soprattutto, con il rifiuto di fermare i manifestanti - come, buon ultima, gli fu chiesto dalla figlia Ivanka - Trump ha messo in pericolo lo stato di diritto.
''Riesco a fomentare la rabbia. Ci sono sempre riuscito. Non so se sia un punto di forza o di debolezza, ma è così'': disse Donald Trump in un'intervista, del 2016, quando stava vincendo le primarie repubblicane, a Bob Woodward e Robert Costa. Parole che, mai come oggi, appaiono attuali.
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