Ufficio Studi della CGIA, Natale alla grande per il fisco: 57 miliardi in più

- di: Barbara Bizzarri
 
Il Natale del fisco italiano si preannuncia particolarmente ricco: infatti, nei primi 10 mesi di quest’anno, ha incassato 57 miliardi di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2021 . Una cifra notevole che, certamente, è destinata ad aumentare. Con le scadenze fiscali di novembre e di dicembre, infatti, è molto probabile che le maggiori entrate tributarie e contributive riferite al 2022 saliranno ancora di parecchi miliardi: questi i dati desunti dall’Ufficio studi della CGIA. L’extragettito, comunque, non è il frutto di un inasprimento fiscale, ma della combinazione di tre aspetti congiunturali distinti, ovvero: il primo da un forte aumento dell’inflazione, che ha fatto salire le imposte indirette; il secondo dal miglioramento economico e occupazionale avvenuto nella prima parte dell’anno, che ha favorito la crescita delle imposte dirette e, infine, dall’introduzione nel biennio 2020-2021 di molte proroghe e sospensioni dei versamenti tributari, agevolazioni che sono state cancellate per il 2022. Oltre a queste tre specificità, va altresì considerato che a partire da marzo di quest’anno le famiglie italiane percepiscono l’assegno unico, misura che ha sostituito le “vecchie” detrazioni per i figli a carico. Questa novità, a parità di condizioni, ha delle evidenti implicazioni sul calcolo della pressione fiscale. Se le detrazioni riducevano l’IRPEF da versare al fisco, la loro abolizione ha incrementato il gettito fiscale complessivo annuo di circa 8,2 miliardi di euro. Ricordiamo che, ora, le risorse per erogare l’assegno unico vengono contabilizzate nel bilancio statale come uscite.

Ufficio Studi della CGIA, Natale alla grande per il fisco: 57 miliardi in più

Tuttavia, con la tassa sugli extraprofitti applicata alle imprese energetiche dal Governo Draghi, nel 2022 l’erario doveva incassare complessivamente 10,5 miliardi di euro. Dopo il saldo del 30 novembre scorso, invece, nelle casse dello Stato sono “arrivati” soltanto 2,7 miliardi di euro. Pertanto, tra i 57 incassati provvisoriamente in più quest’anno mancano sicuramente all’appello altri 7,8 miliardi di euro. La Corte dei Conti ha cercato di individuare le ragioni di questo flop, segnalando diverse criticità: l’identificazione dei soggetti a cui si applica il contributo; la modalità di determinazione della base imponibile; i possibili problemi di costituzionalità del tributo (al riguardo viene richiamata la sentenza n. 10 dell’11 febbraio 2015 avente oggetto la cosiddetta Robin Hood Tax); l’indeducibilità del tributo; la possibile traslazione del contributo sul consumatore finale.

Secondo gli ultimi dati presentati nella Nota di aggiornamento 2022 (versione rivista e integrata) del 4 novembre scorso, quest’anno il gettito tributario dovrebbe toccare la soglia record di 568,4 miliardi di euro, un risultato non ascrivibile ad un incremento del prelievo fiscale sui contribuenti, bensì all’interazione di una serie di aspetti congiunturali emersi quest’anno. Va tuttavia sottolineato che, rispetto a 20 anni fa, la crescita del gettito tributario è stata del 52,2 per cento; sempre nello stesso periodo, invece, il Pil è salito del 41 per cento e l’inflazione del 42,8 per cento. Dei 568,4 miliardi che l’erario incasserà quest’anno, ammonta a 279,1 miliardi la dimensione economica delle imposte indirette (Iva, imposta di registro, etc.), a 284,4 miliardi le imposte dirette (Irpef, Ires, etc.) e a 4,8 miliardi le imposte in conto capitale (imposte di successione, condoni, etc.).

Dall’Ufficio studi della CGIA non hanno dubbi: la vera sfida è far funzionare meglio e con costi inferiori la macchina pubblica. Se si potesse eliminare parte degli sprechi e degli sperperi che si annida all’interno della Pubblica Amministrazione, probabilmente la spesa pubblica italiana costerebbe molto meno e, di conseguenza, il livello della pressione tributaria sarebbe più contenuto, avvantaggiando proprio coloro che le tasse le versano tutte, fino all’ultimo centesimo. Il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione burocratica dei rapporti con la PA è pari a 57 miliardi di euro all’anno. I debiti commerciali che lo Stato e le sue articolazioni periferiche hanno nei confronti dei propri fornitori (in particolar modo Pmi) ammontano a 55,6 miliardi di euro, senza contare la malagiustizia, il deficit infrastrutturale e l’arretratezza del nostro trasporto pubblico locale. Insomma, se si riuscirà ad ammodernare la macchina pubblica, i cittadini e le imprese riceveranno servizi migliori a minor costo, e chi ci governa potrà contare su un numero di risorse maggiori per tagliare le tasse.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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