La condanna alle spese di lite come strumento per ridurre i contenziosi

- di: Nikolaus W.M. Suck
 

Un’applicazione rigorosa e non preconcetta delle regole sulla condanna alle spese di lite e dei relativi parametri di liquidazione potrebbe efficacemente scoraggiare azioni e difese in giudizio pretestuose e infondate, deflazionare i ruoli contenziosi e dare maggiori certezze e sicurezze a tutte le parti del processo.

La mole del contenzioso che occupa gli uffici giudiziari italiani è nota. Viene anche avvertita come una delle principali ragioni per gli addebiti di lentezza e “inefficienza” della giustizia italiana, con le note problematiche connesse (difficoltà di tutela dei diritti, incertezza delle transazioni economiche, etc.).
Da sempre per migliorare la situazione si parla della necessità, indubbia, di aumentare organico e risorse della Magistratura, e di interventi possibili sul processo per snellirne e velocizzarne quanto meno l’iter formale. Ma la prima cosa è costosa e la seconda richiede studio e tempo per funzionare “a regime”.
Intanto, un modo per “alleggerire” i ruoli degli Uffici giudiziari (quanto meno quelli civili, amministrativi e volendo anche tributari) già esiste. E’ nelle norme vigenti che i Magistrati possono (e devono) applicare fin da subito. Si tratta delle regole sulla condanna al pagamento delle spese di giudizio contenute negli articoli 91 e seguenti del Codice di Procedura Civile. Ovvero, in sintesi: chi perde la causa paga spese e onorari della difesa propria e della controparte. Chi ha agito o si è difeso con malafede o colpa grave paga anche un risarcimento aggiuntivo. E per motivi gravi possono essere condannati alle spese personalmente anche i difensori con cui la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio. I parametri di liquidazione delle competenze sono contenuti in un apposito decreto del Ministero della Giustizia, n. 55 del 10 marzo 2014 recentemente modificato e integrato dal n. 37 dell’8 marzo 2018, che prevede dei valori medi per tipo e valore delle cause, aumentabili di regola fino all’80% e riducibili non oltre il 50%.
Prima dell’esistenza dei parametri in questione, ma in ampia misura ancora oggi, si registrava e registra la tendenza da parte dei Giudici a valorizzare maggiormente - e sistematicamente - gli strumenti di mitigazione delle regole in questione, ovvero la possibilità di sindacare discrezionalmente come “superflue o eccessive” alcune spese ed escluderle, la liquidazione oggettivamente irrisoria al di sotto o al di fuori di qualsiasi parametro, e la “compensazione” delle spese tra le parti (soprattutto, almeno di regola, nella materia amministrativa). 
E’ però evidente che in tal modo si finisce addirittura per incoraggiare le azioni e difese in giudizio anche se palesemente pretestuose e infondate, se non altro per guadagnare tempo, legittimando una concezione per cui “male che vada”, si pagherà o farà il dovuto, ma dopo anni, e senza conseguenze patrimoniali significative derivanti dall’azione o difesa in giudizio. Che rischia anzi di “convenire” maggiormente a chi è (e sa di essere) in torto. Per cui, in un circolo vizioso, le cause continueranno ad essere tante e ad aumentare.
Al contrario un’applicazione sistematica, rigorosa e serena delle semplici regole sopra richiamate e dei relativi parametri di riferimento, in modo da dare a tutte le parti di un processo la certezza e sicurezza non solo che “chi perde paga”, ma che paga sempre e paga “il giusto”, e di considerare la compensazione o esclusione delle spese come casi eccezionali, non solo sembra più coerente con la logica e la ratio delle relative norme di legge, ma sarebbe anche idonea a scoraggiare alla radice moltissime azioni e difese in giudizio infondate e pretestuose, intraprese da parti e difensori “compiacenti” solo “per principio” o per guadagnare tempo. E senza le quali gli Uffici potrebbero lavorare più speditamente ed efficacemente.
Volendo, poi, rendere davvero efficace il meccanismo esistente (il che non è avvenuto con le ultime modifiche del 2014), si potrebbe ad esempio introdurre una regola analoga a quella vigente nel processo civile inglese, in cui i progetti di parcella sono redatti e depositati dai difensori, e vistati e approvati dal Giudice, non alla fine ma all’inizio della causa. Per cui, prima ancora di andare avanti, tutte le parti sanno già quanto dovranno pagare i difensori propri e quelli della controparte in caso di soccombenza. Un incentivo consistente a valutare oggettivamente e spassionatamente le rispettive posizioni e l’opportunità o meno di proseguire nel giudizio.
Una tesi di parte per “fare arricchire gli avvocati”? No. Perché i professionisti, che devono agire - ricordiamolo - “nell’interesse della giustizia”, sarebbero i primi ad essere maggiormente responsabilizzati nel non consigliare o intraprendere iniziative prive di fondamento, per una malintesa tutela ad ogni costo dell’interesse del cliente o per altri motivi, ove siano certi conseguenze e costi negativi significativi, oltre che i rischi anche personali.

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