Brusca: lo sdegno usato come strumento per catturare consenso

- di: Diego Minuti
 
Dov'erano quei politici che oggi, facendo ricorso al loro vocabolario, spesso limitato agli improperi, si dicono disgustati per la scarcerazione di Giovanni Brusca quando le dichiarazioni, rese da questo spregevole criminale, hanno consentito alla magistratura di smantellare importanti filiere della mafia?
È, come bene si capisce, una provocazione che però è giusto fare nel momento in cui si assiste ad una cascata di commenti e dichiarazioni su questa vicenda che è molto meno sorprendente di quel che si pensa, se solo si avesse a mente quello che prevede la legislazione premiale, che non chiede a chi parla di pentirsi nel profondo dell'animo, a patto che le rivelazioni trovino conferma dalle indagini.

Ma non è il caso di discutere della legge - perché poi si dovrebbe cominciare a farlo anche per quello che essa ha consentito allo Stato nella lotta al crimine mafioso -, ma dello scatenarsi di sdegnate reazioni fatte da chi, politico, ha gli strumenti per cambiare una legge se non la ritiene giusta.
Per farla breve, che ci sia una serie di provvedimenti che ''premiano'' chi aiuta i magistrati nel loro difficile lavoro, ogni politico degno di tale nome lo dovrebbe sapere e quindi non se ne può accorgere o ricordare solo quando scoppia un ''caso''. Che esiste, perché Giovanni Brusca si è macchiato di indicibili atti che avrebbero meritato condanne con un fascicolo marchiato da un ''fine pena: mai'' che altri - che non hanno collaborato con la Giustizia - stanno affrontando.

E allora, mi si potrebbe chiedere, di cosa stiamo parlando? Solo del fatto che la maggior parte dei politici si manifesta quando fiuta che le sue prese di posizioni possono tradursi in un ritorno elettorale.
Giovanni Brusca è un assassino, un criminale che, laddove abbia iniziato un sincero percorso di pentimento, dovrà fare per sempre in conti con la sua coscienza, sempre che gliene sia rimasta una.
Ma che oggi i politici facciano a gara a chiedere a gran voce una modifica della legge su pentiti e collaboratori di giustizia appare come un tentativo di cavalcare lo sdegno. Una cosa che non si dovrebbe mai fare perché le leggi che riguardano la libertà (o la carcerazione) dell'individuo devono essere frutto di una elaborazione in cui l'emozione, semmai c'è, deve essere messa da parte, facendo interagire con la materia che viene trattata solo la ragione, solo la nostra parte razionale. Ululare oggi alla luna, dimenticando che, senza le dichiarazioni di Brusca, molti pericolosi mafiosi sarebbero ancora in giro (probabilmente macchiandosi di delitti non meno raccapriccianti di quelli di cui lui ha accettato la colpa), è stracciare il buonsenso.

I pentiti e i collaboratori di giustizia che hanno ''cantato'' avrebbero fatto lo stesso senza qualcosa in cambio? No, a meno di pensare ad un ravvedimento che, senza nulla in cambio, se non la pace interiore, troviamo solo nella letteratura. Fra Cristoforo, ad esempio, con quel ''Verrà un giorno..'' che ancora oggi è la minaccia meno esplicita e più efficace che tre parole possano contenere.
Questa legge, oggi e non ieri, suscita ribrezzo, come molti politici si sono affannati a dire? Bene, la si cambi, ma l'esecrazione non è a tempo. Questa legge può essere contestata dalle famiglie delle vittime di Giovanni Brusca, che ne hanno tutto il diritto e ogni giustificazione, davanti all'orrore che gli atti di questo mafioso hanno provocato, ma che lo facciano i soli abilitati a contestarla o modificarla nel luogo deputato, il Parlamento, e lo fanno oggi, quando il caso Brusca dà visibilità mediatica, è cosa che lascia molte perplessità.
Il caso del clamore per la scarcerazione di Brusca è un paradigma di cui avremmo fatto veramente a meno, ma nel gioco della politica, in cui l'interesse generale e quello dei partiti non è detto che coincidano, ci si deve abituare anche a questo.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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