Morra e Scanzi: regole forse rispettate, ma per la forma ripassare più avanti

- di: Diego Minuti
 
Se i casi della vita fanno incrociare il tuo cammino con quello di un greco non è raro che, alla fine dell'ipotetico colloquio, esca fuori la solita frase, "una faccia, una razza", con cui si rammentano le comuni radici tra due popoli che tanto hanno dato all'umanità, spesso non ricambiati.
Ecco, a pensarci bene, "una faccia, una razza" sembra calzare a pennello a due vicende accadute negli ultimi giorni, che hanno creato un minimo di dibattito, nella politica, sui giornali ed attraverso i media. I protagonisti sono Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia, e il giornalista Andrea Scanzi per episodi che possono essere riconducibili ad uno stesso problema, le difficoltà legate alle campagna di vaccinazioni, ma anche ad una stessa visione delle relazioni sociali, intese come la considerazione che si ha di sé stessi.

Il primo, il senatore, è finito nel mirino dei contestatori per quel che sarebbe accaduto nel corso di un blitz fatto, da parlamentare, in un presidio della rete vaccinale in Calabria, durante il quale i toni sarebbero trascesi al punto tale che un funzionario ha accusato un malore ed ora dice di volere denunciare Morra.
Il secondo, il giornalista, ha comunicato al mondo intero d'essere riuscito a vaccinarsi, non certo per patologie pregresse o per fascia d'età, ma per il fatto di assistere gli anziani genitori.
Occorre, prima di commentare, fare delle doverose premesse. Ogni parlamentare della Repubblica ha tra le sue prerogative anche quella ispettiva. È per questo che, ad esempio, deputati o senatori visitano carceri o strutture sanitarie per verificarne lo stato e quindi l'efficienza (anche se spesso - strana coincidenza - vengono effettuate dopo arresti eccellenti). Lo possono fare e, se alla base della loro ispezione, c'è solo l'interesse generale ben vengano visite a sorpresa per vedere se tutto va bene. Ma nel caso di Nicola Morra non è questo il punto che balza con evidenza e che, crediamo, debba essere più d'ogni altro oggetto di considerazioni.

Quello che ha visto, per ammissione stessa di Morra, i due uomini della sua scorta procedere ad una identificazione formale dei medici con i quali il senatore ha avuto un duro, nei contenuti - e, da parte sua, anche nella forma -, scambio di opinioni.
Che Morra abbia la facoltà di chiedere, forse anche di pretendere delle risposte è scontato. Ma che la sua scorta proceda ad una identificazione, chiedendo a dei medici in servizio di esibire i loro documenti, è cosa da censurare. Non perché i due uomini della scorta (presumibilmente con la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, al di là delle mansioni di tutela della sicurezza del parlamentare), lo abbiano fatto, quanto perché, diciamolo, questa procedura, mentre il loro "tutelato" è impegnato in una aspra discussione, poteva essere intesa - e non sappiamo se lo sia stata - una forma di intimidazione. È inutile girarci intorno: vedere un appartenente delle forze di polizia che ti chiede i documenti un minimo di preoccupazione la mette addosso. Poi la scorta avrà agito senza nessuna "malizia", ma il sospetto è forte. Così come c'è da chiedersi il motivo per il quale (semmai la sua scorta sia andata oltre i suoi compiti e senza che lui ne abbia ispirato o richiesto il comportamento) Morra sia stato in silenzio, senza magari intervenire per evitare che i medici, che stavano lavorando e non erano certo in vacanza, si trovassero in una situazione imbarazzante e apportatrice di timori.

E su questo aspetto della vicenda, in un torrenziale video autoassolutorio e senza contraddittorio, il senatore Morra - che, come tutti i docenti, spesso si rivolge al suo uditorio con tono saccente - ha sorvolato, dipingendosi come un difensore della comunità e non un arrogante esponente di quella casta che i Cinque Stelle volevano abbattere (andatelo a dire ai romani che, alla fine della legislatura comunale, stanno assistendo ad un sabba di assunzioni, promozioni e aumenti di stipendio in salsa grillina).

E poi c'è Andrea Scanzi che ha ottenuto di farsi vaccinare - con una dose di AstraZeneca - nella qualità di "caregiver", ovvero di persona che si prende cura di qualcuno che ha bisogno di aiuto.
Ora niente di irregolare, da un punto di vista formale, pare sia emerso nel comportamento di Scanzi (su quello di chi ha attivato le procedure per la sua vaccinazione non è dato sapere, al momento), che però evidentemente non riesce proprio a mettere da parte una autostima che tracima in ogni sua espressione. Perché, nel solito video autoprodotto, non solo si è difeso, ma ha anche ritenuto di dovere andare al contrattacco dapprima punzecchiando chi lo ha criticato, e poi lasciandosi andare ad una difesa che ha fatto partire da un presupposto: piuttosto che criticarmi, gli italiani dovrebbero ringraziarmi.

Per essere precisi, dopo avere detto di non potere accettare "che si dica che io sono un furbetto del vaccino", ha comunicato al mondo intero di averlo fatto "per dare un segnale da persona famosa agli italiani, terrorizzati dopo tre giorni di blocco di AstraZeneca in cui era passato il messaggio che faceva venire i trombi e faceva morire le persone". Al netto della prosa naif (ma chi ha mai detto che un giornalista debba sapere parlare o scrivere?), l'idea che si debba ringraziare Scanzi per avere onorato il suo cognome, "scansando" le liste, comunque grazie ad un arzigogolo lecito, è quanto meno fastidiosa, in un periodo in cui l'Italia ha certamente bisogno di esempi, ma positivi, che non inducano a pensare di trovarsi davanti all'ennesima furbata (legata al ruolo di "caregiver", di difficile attribuzione e, quindi, facilmente, eludibile).
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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