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Pokrovsk nella nebbia, Zaporizhzhia arretra: Donbass in bilico

- di: Bruno Legni
 
Pokrovsk nella nebbia, Zaporizhzhia arretra: Donbass in bilico
Pokrovsk nella nebbia, Zaporizhzhia arretra: Donbass in bilico. La Russia spinge dentro la città tra foschia e droni; Kiev cede posizioni a sud e denuncia attacchi ai centri d’intelligence e alla base degli F-16. Sullo sfondo, lo scontro all’Onu e il nervosismo degli alleati.

La scena sembra uscita da un film post-apocalittico: moto, pick-up e fuoristrada carichi di soldati avanzano in colonna nella foschia di Pokrovsk, tra edifici sventrati e strade craterizzate. L’esercito russo sfrutta il maltempo e infila la città dal fronte orientale; gli stessi ucraini ammettono che centinaia di militari di Mosca sono già all’interno. È il baricentro della battaglia del Donbass: la caduta dell’abitato aprirebbe la rotta verso Kramatorsk e Sloviansk, l’ultimo bastione di Kiev nella regione.

La tenaglia su Pokrovsk

Da giorni gli analisti parlano di una manovra a tenaglia russa, con combattimenti casa per casa e progressioni lente ma costanti. Mosca rivendica la conquista di dozzine di edifici e il serraggio dell’anello anche su Myrnohrad. Kiev respinge l’idea dell’accerchiamento, ma non nega le difficoltà: la nebbia strozza l’osservazione, i droni bussano alle finestre, l’artiglieria lavora sui varchi. Se Pokrovsk cedesse, il domino politico e militare del Donetsk accelererebbe. Non è solo una città: è un nodo logistico, il cancello d’ingresso a un’ulteriore avanzata.

Il fronte sud arretra per salvare vite

Nel Zaporizhzhia le cose non vanno meglio. Le forze di difesa ucraine hanno ammesso il ripiegamento da posizioni vicino a cinque insediamenti dopo giornate di bombardamenti massicci: centinaia di colpi d’artiglieria al giorno, trincee e ripari “di fatto distrutti”, pressione d’assalto in aumento. È una ritirata tattica, spiegano, per preservare il personale e riorganizzare la linea. Intanto aumentano le evacuazioni civili nell’area: l’inverno arriva presto nelle case senza corrente né ripari.

La rappresaglia “Kinzhal” e la guerra delle versioni

Mentre le linee si muovono, la guerra dell’informazione corre parallela. Mosca sostiene di aver colpito con missili ipersonici Kinzhal un centro di intelligence elettronica nei dintorni di Kiev e la base aerea dove sarebbero ospitati i primi F-16 ucraini. Nelle stesse ore l’Fsb annuncia di aver sventato un presunto piano ucraino (con complicità occidentali) per dirottare un MiG-31K armato proprio di Kinzhal: il racconto comprende tentativi di reclutamento di piloti e offerte milionarie. Sono affermazioni non verificabili con prove indipendenti: Kiev tace sui danni e gli osservatori invitano alla prudenza. Resta il dato che conta sul campo: la capacità russa di colpire in profondità alimenta l’attrito e consuma risorse ucraine.

Zelensky tra trincee e diplomazia

Nella giornata in cui Kherson ricorda la sua liberazione di tre anni fa, Volodymyr Zelensky prova a tenere la barra: “I nostri continuano a distruggere gli occupanti”, assicura, e indica qualche miglioramento nella zona di Kupyansk. Ma l’immagine dei convogli russi che si dissolvono nella foschia di Pokrovsk pesa più di mille parole. La fiducia dell’autunno 2022 oggi vacilla, e il presidente lo sa: per questo insiste sul sostegno degli alleati e sulla stamina industriale necessaria a reggere una guerra di attrito.

L’Onu si infiamma: il nodo della “integrità territoriale”

Il fronte diplomatico registra uno scossone. Fonti ucraine e media filo-Kiev riferiscono che Washington starebbe cercando di ammorbidire il linguaggio della prossima risoluzione dell’Assemblea generale sul conflitto, eliminando riferimenti a “integrità territoriale” e al termine “aggressione”. Se confermata, sarebbe una virata politica sensibile che irrita le cancellerie europee e fornisce a Mosca munizioni narrative. Kiev spinge perché si mantenga il quadro giuridico fissato dal diritto internazionale: confini riconosciuti, condanna delle annessioni, responsabilità per l’aggressione.

Cosa cambia adesso: tre conseguenze immediate

Primo: la situazione di Pokrovsk impone a Kiev di scegliere dove concentrare riserve, rischiando di lasciare scoperti tratti secondari del fronte. Secondo: a sud, ogni chilometro ceduto obbliga a ridisegnare logistica e difese in vista di un inverno lungo, con carenza di generatori e munizioni. Terzo: sul piano politico, la percezione di un raffreddamento occidentale complica la campagna diplomatica ucraina per missili a lungo raggio, difesa aerea e sostegno finanziario nel 2026.

La finestra strategica di Mosca

Per il Cremlino, l’obiettivo è evidente: chiudere il Donbass de facto prima che l’industria europea e americana riporti il vantaggio tecnologico sul campo. La nebbia di Pokrovsk è anche metafora: copre una corsa contro il tempo, fatta di artiglierie che consumano, droni economici e missili sempre più accurati. Ogni avanzata urbana, per quanto lenta e costosa, sbriciola la difesa e manda un messaggio: “Stiamo arrivando”.

Che cosa guardare nelle prossime settimane

Uno: se la Russia riuscirà a tagliare le vie di rifornimento a Pokrovsk e a isolare definitivamente la città. Due: se l’Ucraina manterrà un cuscinetto difensivo a nord di Huliapole nel Zaporizhzhia. Tre: le regole d’ingaggio diplomatiche all’Onu, termometro dei rapporti transatlantici. Quattro: la resilienza energetica ucraina sotto attacchi missilistici destinati ad aumentare con il freddo.


Dichiarazioni e voci dal fronte

  • Zelensky: “La situazione resta difficile, ma i nostri resistono”.
  • Difesa ucraina (settore sud): “Abbiamo ordinato il ritiro da alcune posizioni per salvare vite”.
  • Mosca: “I Kinzhal hanno colpito obiettivi strategici legati a intelligence ed F-16”.

Contesto

La guerra è entrata nella sua fase d’attrito: avanzate graduali, logistica al centro, industrie in riarmo. L’autunno-inverno russa torna a colpire le infrastrutture energetiche; per Kiev l’urgenza è difesa aerea e munizioni d’artiglieria. A est, ogni condominio diventa una fortezza; a sud, ogni fascia di campi un labirinto di mine. Il Donbass resta l’obiettivo dichiarato del Cremlino. Il resto d’Europa osserva e fa i conti con una guerra che detta l’agenda economica e politica del 2026.


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