Una norma tecnica, sì. Ma dietro c’è una scelta politica. E sociale. A pagarne il prezzo saranno soprattutto operai, pendolari, famiglie che non hanno ancora cambiato l’auto. Perché la transizione ecologica, quando arriva senza rete, rischia di trasformarsi in selezione. E la mobilità, ancora una volta, diventa il termometro delle disuguaglianze.
Dal primo ottobre stretta sui diesel Euro 5, stop diurno nelle città del Nord sopra i 30mila abitanti
È una data che potrebbe sembrare come le altre, ma non lo è: il primo ottobre 2025 segnerà per molti cittadini del Nord un prima e un dopo. In tutte le città con più di 30mila abitanti di Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto scatterà il blocco diurno per i veicoli diesel Euro 5, cioè quelli immatricolati prima del 1 gennaio 2015. Il divieto varrà dalle 7:30 del mattino alle 19:30 della sera, nei giorni feriali. Tradotto: quando la macchina serve davvero. Per andare al lavoro, portare i figli a scuola, fare visite, spostarsi tra piccoli comuni e città, gestire la propria giornata.
Il provvedimento non arriva all’improvviso: è il frutto di un percorso iniziato da tempo, legato agli obblighi europei sul contenimento dell’inquinamento da biossido di azoto nel bacino padano, da anni tra le aree più critiche per la qualità dell’aria. Ma l’attuazione concreta – così estesa, così rigida – arriva in un momento in cui la transizione ecologica comincia a pesare anche sulle tasche. E soprattutto su chi ha meno possibilità di scegliere.
La realtà oltre i dati
Per chi guida un’auto nuova, magari ibrida o elettrica, o vive in centro città e si muove con mezzi pubblici, il provvedimento è quasi invisibile. Per chi invece ha comprato un diesel Euro 5 appena dieci anni fa, credendo di fare una scelta efficiente e duratura, è un colpo secco. Parliamo, secondo le stime, di oltre un milione e mezzo di veicoli ancora circolanti solo nel Nord Italia. Auto che improvvisamente diventano inutilizzabili durante il giorno nei centri urbani. E auto che, di conseguenza, si svalutano drasticamente. Senza contare che in molti casi sono ancora oggetto di rate o leasing.
La narrazione ufficiale parla di sostenibilità, di necessità, di obblighi comunitari. Ma nel mezzo, tra principio e realtà, si insinua una domanda scomoda: chi può davvero permettersi questa transizione? Chi ha la forza economica per cambiare auto in un momento in cui i prezzi delle vetture – anche dell’usato – sono tornati a crescere, gli incentivi sono terminati in pochi giorni e l’inflazione ha ridotto il potere d’acquisto?
Un’Italia a due velocità
La misura riguarda le città, sì. Ma l’Italia non è fatta solo di grandi centri. Anzi: il tessuto profondo è quello dei pendolari, dei lavoratori dei distretti industriali, degli artigiani che si spostano per lavoro, di chi vive ai margini dell’urbanizzazione e ogni giorno percorre decine di chilometri per raggiungere la propria destinazione. Per queste persone, spesso, l’auto è l’unico mezzo reale di mobilità. E non è un dettaglio se la gran parte di chi guida Euro 5 vive proprio in queste aree.
Il rischio – sempre più concreto – è che la transizione verde finisca per accentuare le disuguaglianze territoriali e sociali. Tra chi abita in città ben servite e chi no. Tra chi può cambiare veicolo e chi resta legato a quello che ha. Tra chi guida per scelta e chi guida per necessità.
Il silenzio che pesa
Nel frattempo, dalla politica nazionale non arriva un segnale chiaro. Nessuna presa di posizione netta. Nessuna proposta di revisione dei tempi o delle modalità. Nessun fondo straordinario per accompagnare le famiglie verso un rinnovo del parco auto. Il governo tace, le Regioni applicano, i Comuni si preparano ai controlli. Tutto scorre in automatico, come se si trattasse di un passaggio obbligato, senza margini di flessibilità. Eppure, dietro quella che sembra una scelta amministrativa, si nasconde un cambio di paradigma: la mobilità individuale non è più garantita a tutti.
Un passaggio obbligato, ma non neutro
Sia chiaro: l’inquinamento va ridotto. Le soglie europee vanno rispettate. La salute pubblica non può più attendere. Ma il modo in cui si affronta il cambiamento è parte del cambiamento stesso. E se si decide di agire con divieti senza alternative, si rischia di perdere per strada una parte del Paese. Non solo in senso figurato.
Servono scelte strutturali, incentivi reali, mezzi pubblici potenziati, infrastrutture serie per l’elettrico. Servono risposte a chi oggi rischia di trovarsi bloccato, in silenzio, mentre l’Italia cambia marcia senza chiedere se tutti hanno la stessa macchina.