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Finché c'è morte c'é speranza, ma per i colpevoli: quale giustizia per le vittime di femminicidio?

- di: Bianca Balvani
 
Finché c'è morte c'é speranza, ma per i colpevoli: quale giustizia per le vittime di femminicidio?
Nel 2053 Davide Fontana avrà 75 anni e sarà già fuori dal carcere da diverso tempo, tra libertà provvisoria, affidamento ai servizi sociali e quant'altro. Perché, si sa, in Italia nulla di meno certo c'è della pena perché, grazie alle cosiddette legislazioni premiali e in ossequio al principio che il carcere deve redimere e restituire alla società il reo ''mondato' dei suoi peccati, nessun condannato resterà in galera fino alla scadenza naturale.
Quindi, Davide Fontana, per il quale era stato chiesto l'ergastolo, è stato condannato a 30 anni per avere ucciso (e dopo averne fatto a pezzi il cadavere) Carol Maltesi, 26 anni.
Cioè, lo riferisco solo per dare una migliore contezza del contesto di questo fatto di sangue, 30 anni ''spalmati'' per i 18 pezzi frutto della dissezione del cadavere di questa giovane donna che forse per la morale di qualcuno viveva ai confini della società dei benpensanti, e che invece era una ragazza che coltivava due amori: per la vita e per il figlioletto.

Finché c'è morte c'é speranza, ma per i colpevoli: quale giustizia per le vittime di femminicidio?

Fontana le ha negato entrambi, uccidendola forse alla fine di un gioco erotico e, quindi, smembrandone il corpo per nascondere l'omicidio e cercando di depistare eventuali indagini sulla sparizione di Carol utilizzando l'ambiguità consentita dai messaggi sui social.
Ma il punto non è su cosa ha fatto Fontana, ma sul come perché niente, nelle modalità di questo omicidio/massacro, giustifica la mancata irrogazione del carcere a vita.
Niente riesce a fare comprendere, al di là del percorso che la legge impone, come non sia stata applicata l'aggravante della premeditazione, così come quella dei motivi abietti e delle sevizie riservate alla vittima.
Una scelta, del collegio giudicante (quello di Busto Arsizio), che può essere valutata solo quando si conosceranno le motivazioni. Certo è però che, sentendo il presidente leggere il dispositivo della sentenza, i soli a gioire sono stati i difensori del bancario, che hanno quindi ottenuto un risultato che appariva difficilissimo da conseguire.

L'esito del processo ripropone un tema abbastanza caldo, sicuramente caro ai sostenitori di una giustizia più severa, al di là di quelli che sono i reati contestati. Ma soprattutto in vicende come quella dell'uccisione di Carol Maltesi per mano di un uomo con il quale aveva un rapporto tossico, ma mai al punto da farle sospettare che egli potesse diventare il suo boia.

Ma Fontana, che - secondo i giudici - non ha premeditato, non è stato mosso da motivi abietti e non ha seviziato la sua vittima, è lo stesso uomo che ha ucciso Carol - durante un gioco erotico nel quale lei era bendata e legata, quindi nell'impossibilità di difendersi - colpendola con un martello e poi sgozzandola?
E' lo stesso che ne ha sezionato il corpo, mettendo i pezzi in un congelatore comprato, online, per questo?
E' lo stesso che ha poi cercato, non riuscendovi, di disfarsi del cadavere, bruciandone i resti in un barbecue?
E' lo stesso che ha messo il corpo dissezionati in sacchi poi abbandonati in zone di campagna?
Ecco: questo è l'uomo nel quale i giudici hanno intravisto la possibilità di un cammino di redenzione, anche sapendo che Carol ha pagato con la vita il fatto di volersi trasferire a Verona, solo per avvicinarsi al figlio, avuto da un altro uomo.

Davide Fontana, al quale è stato evitato l'ergastolo, tornerà libero quando ancora potrà camminare, leggere, guardare il cielo e godere della vista in un tramonto, di un'alba. Le stesse cose che ha negato non solo a Carol, bellissima e disperata, ma anche al figlio. Ma queste cose, evidentemente, sono gli effetti collaterali dell'applicazione automatica della giustizia.
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