La Repubblica è nata il 2 giugno: quando l’Italia scelse il suo futuro
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Il 2 giugno non è solo una data nel calendario delle festività italiane. È uno spartiacque. È il giorno in cui l’Italia, uscita a fatica dalle macerie della Seconda guerra mondiale, si ritrovò davanti allo specchio della propria storia e fu chiamata a scegliere: monarchia o repubblica. Per la prima volta votarono anche le donne. Per la prima volta, tutti insieme, gli italiani furono chiamati a decidere non un governo, ma una forma. Non un partito, ma un’identità. Quella consultazione istituzionale non fu né semplice né pacifica. Spaccò il Paese in due: al nord la repubblica fu un grido di liberazione, al sud vinse la monarchia. Ma fu l’inizio, comunque, di un racconto nuovo. Il Paese si dichiarò pronto a voltare pagina.
La Repubblica è nata il 2 giugno: quando l’Italia scelse il suo futuro
Non si può capire il 2 giugno 1946 senza ricordare ciò che lo precedette. Il 1943 aveva segnato la rottura definitiva tra il popolo e la monarchia. Mussolini era stato arrestato, Badoglio nominato capo del governo, ma la fuga di Vittorio Emanuele III dopo l’armistizio dell’8 settembre aveva segnato uno degli episodi più oscuri della storia nazionale. La monarchia non era più un’istituzione guida: era un’ombra. Le forze antifasciste, pur divise, trovarono un punto di incontro: la questione istituzionale sarebbe stata rimandata alla fine della guerra. Quel patto, formalizzato con un decreto nel 1944, gettò le basi per il referendum del 1946. E così fu. Con l’Italia ancora percorsa da ferite, arrivò il momento del giudizio.
Un voto di massa, una frattura profonda
Il referendum del 2 e 3 giugno fu una prova democratica senza precedenti. La partecipazione superò l’89%. Le schede scrutinate furono quasi 25 milioni. La repubblica prevalse con 12,7 milioni di voti contro i 10,7 della monarchia. Non fu un plebiscito. Fu una vittoria risicata e, per questo, contestata dai monarchici. Ma fu anche la proclamazione simbolica della sovranità popolare. Il 18 giugno, dopo giorni di tensioni, la Corte di Cassazione confermò l’esito: l’Italia era repubblicana. Quel giorno segnò la fine della dinastia dei Savoia, esiliata per legge, ma anche l’inizio della stagione costituente. Nello stesso voto, infatti, gli italiani elessero i membri dell’Assemblea Costituente, che avrebbe redatto la carta fondamentale della nuova Italia.
La festa, la memoria, la forma della libertà
La Festa della Repubblica è molto più di una parata ai Fori Imperiali. È l’anniversario della scelta. E come tutte le scelte vere, nacque da un conflitto. Non è una festa retorica: è una festa necessaria. Perché ricorda che la democrazia non è un dato di fatto, ma un atto originario, un punto di rottura. Per questo la celebrazione ha un protocollo preciso: la deposizione della corona d’alloro al Milite Ignoto, la parata militare con le forze armate e le istituzioni, l’apertura dei giardini del Quirinale, l’esibizione delle Frecce Tricolori. È il tentativo di far convivere la forma dello Stato con il sentimento di appartenenza. La Repubblica non è solo un assetto giuridico: è un racconto condiviso. E il 2 giugno ne è il prologo.
Il ritorno della festa dopo anni di assenza
Non sempre il 2 giugno è stato celebrato come oggi. Nel 1977, complice la crisi economica e la necessità di tagliare i costi pubblici, la festività fu spostata alla prima domenica di giugno. Si smarriva così la memoria precisa di quella data fondativa. Solo nel 2001, con un provvedimento del Parlamento, il 2 giugno fu nuovamente ripristinato come giorno festivo. Un atto che non fu solo formale. In quel ritorno alla data originaria c’era la volontà di rimettere ordine nella narrazione nazionale. Di non dimenticare. Di non relativizzare la nascita della Repubblica dentro il flusso indistinto dei ponti e dei giorni rossi. Il 2 giugno doveva tornare a essere quello che era stato: il giorno in cui l’Italia scelse sé stessa.