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Francia, Lecornu l’equilibrista salva il bilancio della Sécu

- di: Vittorio Massi
 
Francia, Lecornu l’equilibrista salva il bilancio della Sécu
Francia, Lecornu l’equilibrista salva il bilancio della Sécu
Per tredici voti il governo evita il naufragio, sospende la riforma delle pensioni e rinvia lo scontro sui conti pubblici a un Natale ad alta tensione politica.

All’Assemblée nationale lo chiamano già “l’equilibrista”. In una Camera frantumata, senza maggioranza e con le opposizioni pronte a far cadere il governo al primo passo falso, il premier Sébastien Lecornu (foto) è riuscito a portare a casa il voto più rischioso del suo mandato: il bilancio 2026 della Sécurité sociale, il gigantesco pilastro di sanità, pensioni e welfare francese.

Il testo è passato con 247 voti favorevoli, 234 contrari e 93 astensioni, uno scarto minimo che fotografa la fragilità del governo ma anche la sua capacità di tessere alleanze trasversali. Decisivo il sostegno dei socialisti, che hanno scelto di votare a favore pur rivendicando pesanti riserve, mentre i verdi si sono collocati in un limbo prudente, optando per l’astensione. La destra e l’estrema destra hanno votato in blocco contro; una parte dei centristi, a cominciare dagli alleati di Horizons e da vari deputati di Les Républicains, ha preferito non prendersi la responsabilità di affossare un bilancio vitale per la continuità dello Stato.

Lecornu incassa così una vittoria politica simbolica: il testo passa senza ricorrere al famigerato articolo 49.3 della Costituzione, lo strumento che consente al governo di imporre una legge senza voto parlamentare, al prezzo di esporsi a una mozione di censura. Il premier aveva promesso di tornare alla “politica del compromesso” e, almeno su questo dossier, può rivendicare di aver mantenuto la parola.

Il prezzo del sì: riforma delle pensioni in congelatore

Il cuore politico del compromesso è la sospensione della riforma delle pensioni varata dal governo Borne, quella che ha fatto esplodere le piazze nel 2023 innalzando l’età legale di pensionamento da 62 a 64 anni. Il bilancio 2026 della Sécu prevede che l’entrata a regime di quella riforma venga rinviata almeno al biennio 2026–2027, con un congelamento che di fatto sfila dal tavolo il dossier più esplosivo della presidenza Macron fino alle elezioni del 2027.

Per i socialisti è il trofeo da esibire alla propria base: hanno accettato di “mettere in sicurezza” il sistema di welfare renunciando alla seduzione del voto di rottura, ma possono rivendicare di aver imposto una linea rossa su pensioni e indicizzazione delle prestazioni. Nel testo votato dall’Assemblea sono state infatti cancellate le ipotesi di congelamento delle pensioni e di sotto-indicizzazione rispetto all’inflazione, che avrebbero eroso il potere d’acquisto di milioni di pensionati nei prossimi anni.

Non tutto, però, è stato eliminato: restano nel pacchetto alcune misure destinate a contenere la spesa, in particolare nel campo della sanità, e diverse riforme tecniche sulle prestazioni sociali e sui contributi. Per una parte della sinistra, soprattutto la France Insoumise, il risultato è giudicato insufficiente: il voto è stato netto contro, a fianco del Rassemblement National, che accusa il governo di aver confezionato un bilancio “di continuità macronista” mascherato da compromesso.

Che cosa c’è davvero nel bilancio della Sécurité sociale 2026

Al netto dello scontro politico, il PLFSS 2026 (Projet de loi de financement de la Sécurité sociale) è un testo densissimo, che tocca la vita quotidiana dei francesi ben più di qualsiasi legge simbolica. L’obiettivo dichiarato del governo è ridurre il deficit della Sécu a circa 17,5–19,5 miliardi di euro nel 2026, partendo da un disavanzo che per il 2025 viene stimato oltre i 23 miliardi.

Nella versione iniziale, l’esecutivo aveva messo sul tavolo una serie di misure impopolari: aumento delle franchigie mediche a carico dei pazienti, riduzione della durata di alcuni congedi per malattia, strette su indennità e prestazioni sociali, e un controllo più severo sulle esenzioni contributive per le imprese. Una parte di questi interventi è stata attenuata o cancellata dalla pioggia di emendamenti votati in Aula.

Tra le modifiche più rilevanti figurano:

  • il rafforzamento del budget della sanità, con l’aumento dell’ONDAM (l’Obiettivo nazionale di spesa per l’assicurazione malattia) e fondi aggiuntivi per ospedali e medicina di base;
  • il ripristino di un meccanismo pieno o quasi pieno di indicizzazione per pensioni e varie prestazioni sociali, cancellando di fatto il congelamento generalizzato che il governo aveva ipotizzato;
  • l’introduzione o la precisazione di un nuovo congedo di nascita indennizzato, per facilitare la conciliazione tra vita familiare e lavoro nei primi mesi dopo l’arrivo di un figlio;
  • una serie di micro-riforme sulle esenzioni di contributi e sui regimi particolari, con l’obiettivo di allargare la base contributiva senza colpire in modo frontale i redditi medio-bassi.

Risultato: l’architettura originaria del piano finanziario è stata profondamente modificata. Secondo i calcoli del ministro del Lavoro Jean-Pierre Farandou, nella fase intermedia del dibattito le concessioni parlamentari hanno rischiato di far schizzare il deficit atteso fino a 24 miliardi, prima che un nuovo giro di aggiustamenti permettesse di tornare su una traiettoria meno inquietante.

Lecornu, due mandati lampo e un Parlamento senza rete di sicurezza

La serata della Sécu vale per Lecornu più di una semplice legge di bilancio. Nominato due volte da Emmanuel Macron in pochi mesi, dopo una serie di dimissioni-lampo dei suoi predecessori travolti dal caos parlamentare, il premier ha costruito la propria immagine sulla promessa di “fare politica dentro l’emiciclo” rinunciando alle scorciatoie costituzionali.

In più di un’occasione si è definito, con un misto di autoironia e realismo, il “più debole primo ministro della V Repubblica”: senza maggioranza, dipendente da alleanze variabili e costantemente esposto al rischio di una mozione di sfiducia che metterebbe in gioco l’intera architettura del potere macroniano.

La vittoria sul PLFSS gli consente di affermare che la strategia del compromesso paga. Ma l’operazione ha un costo: il malumore che serpeggia all’interno del campo presidenziale, dove alcuni deputati e ministri considerano il testo finale come un “mosaico contraddittorio” di concessioni alla sinistra e all’ala sociale del Parlamento, più che come un bilancio coerente di lungo periodo.

L’altra faccia della medaglia è che la polarizzazione politica resta intatta. L’estrema destra denuncia un “patto di sopravvivenza” tra Macron e la sinistra riformista; la France Insoumise accusa Lecornu di tenere in vita una politica di austerità camuffata, mentre parte della destra repubblicana si presenta come unico argine a un presunto “blocco centrale” che farebbe pagare la crisi ai ceti medi.

Il prossimo round: la legge di bilancio dello Stato e l’ombra del 5% di deficit

Il voto sulla Sécurité sociale è solo il primo tempo di una partita molto più rischiosa. Entro Natale il Parlamento dovrà pronunciarsi sulla legge finanziaria per il 2026, il bilancio complessivo dello Stato, che in prima lettura è già stato respinto, aprendo scenari di crisi istituzionale senza precedenti negli ultimi decenni.

Sul tavolo c’è un numero che ossessiona tanto Bercy quanto Bruxelles: un deficit pubblico che potrebbe avvicinarsi al 5% del Pil nel 2026, ben al di sopra della soglia del 3% iscritta nei trattati europei e superiore all’obiettivo, già rivisto al rialzo, del 4,7% fissato ufficialmente dal governo. Nel 2025 il disavanzo è già stimato oltre il 5,5–5,8% del Pil, un livello che rende sempre più costoso finanziare il debito sui mercati.

A far tremare i polsi non è solo l’ammontare del deficit, ma la dinamica esplosiva della spesa per interessi: gli scenari tecnici parlano di circa 74 miliardi di euro di interessi pagati nel 2026, quasi il doppio rispetto al periodo prima della pandemia. Denaro che non finanzia né ospedali né scuole, ma serve solo a tenere in piedi il muro del debito accumulato.

È in questo contesto che il think tank progressista Terra Nova ha pubblicato un rapporto destinato ad alimentare il dibattito. Secondo le sue simulazioni, per stabilizzare il debito francese sarebbe necessario uno sforzo annuo compreso tra 100 e 120 miliardi di euro rispetto alla crescita tendenziale della spesa, una correzione d’ordine mai visto nella storia recente della V Repubblica.

Terra Nova: “Nessun miracolo, servirà toccare le tasse di tutti”

Il rapporto di Terra Nova è una doccia fredda per tutte le famiglie politiche. Nel documento gli economisti del centro studi spiegano che “non basterà tassare i più ricchi o tagliare qualche spesa simbolica” per rimettere i conti in carreggiata: la dimensione del problema è tale che, prima o poi, “un’imposta che pagano tutti dovrà aumentare”.

Tra le ipotesi più esplosive c’è un ritocco dell’Iva, che in Francia resta un tabù elettorale trasversale, ma anche l’aumento di contributi e prelievi come la CSG (il contributo sociale generalizzato) non solo sui redditi del capitale, ma – in scenari estremi – anche su quelli da lavoro, con un impatto potenziale fino a 3.000 euro l’anno in più per alcune famiglie nel caso venissero adottate le combinazioni più dure.

Terra Nova avverte inoltre che, complice l’aumento dei tassi e il permanere di un elevato livello di spesa pubblica, la traiettoria del debito francese rischia di diventare più fragile di quella italiana, nonostante il differenziale di partenza sul rapporto debito/Pil. Un rovesciamento di ruolo che potrebbe tradursi, se i mercati dovessero perdere fiducia nella “firma” della Francia, in nuove ondate di tensione sul costo del finanziamento.

Il governo ha accolto il rapporto con una cauta freddezza. Lecornu ha riconosciuto che “nessuno scenario realistico consente di evitare scelte difficili”, ma per ora evita di intestarsi la bandiera di un aumento generalizzato dell’Iva, che sarebbe politicamente esplosivo alla vigilia della corsa all’Eliseo del 2027.

Tra responsabilità e rischio di crisi: cosa può succedere ora

L’approvazione del bilancio della Sécu non chiude il fronte della crisi politica francese, ma lo mette temporaneamente in sospeso. Lo stesso ministro del Lavoro Farandou, nelle settimane precedenti al voto, aveva avvertito che un eventuale respingimento del PLFSS avrebbe aperto una “crisi politica, economica e sociale”, con lo spettro di una paralisi amministrativa a inizio 2026.

Il sistema costituzionale francese prevede, in caso di blocco persistente, scenari estremi: dall’uso di leggi speciali per garantire la continuità dello Stato fino a un nuovo ricorso alle ordinanze o, in ultima istanza, a un’ulteriore dissoluzione dell’Assemblée. Per ora Macron e Lecornu sembrano determinati a evitare queste soluzioni traumatiche, ma la minoranza strutturale del governo rende ogni grande voto una potenziale roulette russa.

Il passaggio del PLFSS è anche un messaggio ai partner europei: Parigi vuole dimostrare di essere ancora in grado di votare i propri bilanci attraverso il normale gioco parlamentare, dopo anni di ricorso in serie al 49.3 che hanno dato l’immagine di un sistema in stato di eccezione permanente. Ma l’Europa guarderà soprattutto ai numeri: riduzione effettiva del deficit, traiettoria del debito, capacità di contenere la spesa senza spegnere la crescita.

In questo quadro, la figura di Lecornu resta sospesa tra due immagini: quella del funambolo che riesce a restare in equilibrio su un filo sempre più sottile e quella del capo di governo troppo debole per imporre una strategia chiara sul medio periodo. Il prossimo round, quello sulla legge di bilancio dello Stato, dirà se l’equilibrista è destinato a restare in piedi o se, sotto il peso combinato di deficit, debito e frammentazione politica, la Francia si avvicinerà pericolosamente al punto di non ritorno. 

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