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Gaza nella morsa della carestia: l’Onu denuncia, i bambini muoiono

- di: Matteo Borrelli
 
Gaza nella morsa della carestia: l’Onu denuncia, i bambini muoiono
Gaza nella morsa della carestia: l’Onu denuncia, i bambini muoiono
Il rapporto IPC (Food Security Phase Classification) certifica la fame “indotta dall’uomo”: oltre mezzo milione di persone colpite, 132.000 bambini a rischio estremo. Fletcher accusa i leader israeliani, Oxfam chiede lo stop immediato al blocco.

Gaza precipita nell’abisso della fame

Per la prima volta in Medio Oriente, un organismo internazionale ha dichiarato ufficialmente lo stato di carestia. La Striscia di Gaza, devastata da quasi un anno di conflitto, è entrata nella fase più buia della sua storia recente. A certificare il disastro è l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), sistema globale sostenuto dalle Nazioni Unite che monitora la sicurezza alimentare nel mondo. Nel suo rapporto pubblicato il 22 agosto 2025, l’IPC ha parlato di una crisi “interamente provocata dall’uomo”, che rischia di trasformarsi in un genocidio per fame.

Il documento è netto: oltre 500.000 persone vivono già in condizioni di fame catastrofica (Fase 5), con intere aree — a partire da Gaza City — classificate come regioni di carestia. Se non si interviene immediatamente, altre zone, tra cui Khan Younis e Deir al-Balah, raggiungeranno lo stesso livello entro settembre.

I bambini in prima linea

La parte più fragile della popolazione è quella infantile. Secondo il rapporto IPC, 132.000 bambini sotto i cinque anni rischiano la vita per malnutrizione grave entro giugno 2026, una cifra più che raddoppiata rispetto a pochi mesi fa.

Il dramma non è solo statistico. Dati diffusi dal ministero della Salute di Gaza indicano che nei primi venti giorni di agosto sono morte 133 persone per malnutrizione, tra cui 25 bambini. E gli ospedali, già allo stremo, non hanno più supplementi nutrizionali né medicine di base per affrontare la crisi.

La denuncia dell’Onu: “Un’arma di guerra

La fame non è una conseguenza collaterale del conflitto, ma uno strumento deliberato di pressione. A denunciarlo è stato Tom Fletcher, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, che in conferenza stampa a Londra il 22 agosto ha dichiarato: “La fame a Gaza è apertamente promossa da alcuni leader israeliani come arma di guerra. È una carestia che ci perseguiterà tutti”.

Fletcher ha chiesto al premier israeliano Benjamin Netanyahu un “cessate il fuoco immediato” e la riapertura dei valichi per consentire il passaggio di cibo, acqua e medicinali.

Israele respinge le accuse

Dal lato israeliano, la reazione è stata durissima. Funzionari governativi hanno messo in dubbio la metodologia dell’IPC, sostenendo che la dichiarazione di carestia sia basata su dati “incompleti e politicizzati”. Tel Aviv rivendica di aver permesso l’ingresso di convogli umanitari, accusando invece Hamas di averne bloccato o sequestrato alcuni. Il dibattito, però, non attenua i fatti: il numero di vittime per fame continua a crescere ogni giorno.

Oxfam: “Carestia totalmente indotta dall’uomo

Tra le ONG più attive, l’Oxfam ha diffuso una nota durissima, ribadendo che la carestia è “totalmente indotta dall’uomo” e che senza un cambio di rotta immediato la Striscia diventerà una tomba a cielo aperto. “Chiediamo che tutti i valichi siano riaperti senza condizioni e che flussi massicci di aiuti raggiungano la popolazione” si legge nel comunicato diffuso il 22 agosto.

L’appello delle agenzie Onu

L’allarme è corale. FAO, UNICEF, WFP e WHO hanno lanciato un appello congiunto, esortando a un cessate il fuoco immediato e a garantire “accesso umanitario pieno, sicuro e duraturo” per salvare le vite più vulnerabili.

Il tempo delle esitazioni è finito”, ha dichiarato l’IPC nel suo documento. “La fame non è più un rischio futuro, è realtà presente e si diffonde a ritmo accelerato”.

La comunità internazionale sotto accusa

Il dato che colpisce è che la carestia di Gaza non è il risultato di un disastro naturale, ma di scelte politiche. Bloccare i corridoi umanitari, bombardare le infrastrutture idriche ed elettriche, impedire il rifornimento di carburante e medicinali: ogni decisione ha costruito un ingranaggio che conduce dritto alla fame di massa.

La comunità internazionale non può dirsi innocente. Dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu all’Unione europea, le condanne verbali non si sono tradotte in pressioni efficaci. Intanto i civili pagano il prezzo più alto.

Fame come strumento geopolitico

Nella storia, la carestia è stata spesso usata come arma di guerra: dall’assedio di Leningrado durante la Seconda guerra mondiale, fino alle guerre civili africane. Gaza oggi rientra tragicamente in questo elenco. L’uso deliberato della fame come strumento di coercizione politica solleva un tema enorme: può la fame di un popolo essere tollerata come “collaterale” in un conflitto armato?

La risposta dell’Onu è chiara: no. Non si tratta di un effetto collaterale, ma di una violazione del diritto internazionale umanitario.

Un futuro che si chiude

Se non verranno riaperti i valichi, se non ci sarà un flusso costante di aiuti, l’IPC prevede che entro l’inizio del 2026 la metà della popolazione di Gaza vivrà in condizioni di fame catastrofica. È una prospettiva che mette a rischio la stabilità dell’intera regione. Una generazione di bambini sottratta al cibo e alla salute non è solo una tragedia umanitaria: è la premessa di un futuro di radicalizzazione, instabilità e conflitto.

Lo specchio più crudele del nostro tempo

La carestia di Gaza è lo specchio più crudele del nostro tempo: un mondo capace di sfamare tutti, ma incapace di superare i veti politici per salvare i più deboli. È una carestia “politica”, pianificata dal blocco degli aiuti, mantenuta dall’indifferenza, resa irreversibile dall’inerzia diplomatica.

La frase di Fletcher resta scolpita come un monito: “È una carestia che ci perseguiterà tutti”. Perché quando la fame diventa arma di guerra, nessuno può dirsi estraneo.

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