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I can’t breathe: migliaia in piazza cinque anni dopo la morte di George Floyd

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
I can’t breathe: migliaia in piazza cinque anni dopo la morte di George Floyd
Cinque anni dopo l’omicidio di George Floyd, migliaia di persone sono tornate nelle piazze americane per riaffermare un grido che non ha perso forza: “I can’t breathe”. A Houston, Minneapolis e in molte altre città degli Stati Uniti, la memoria dell’uomo di 46 anni schiacciato a terra da un agente di polizia è diventata di nuovo parola pubblica, gesto collettivo, richiesta di giustizia viva.

I can’t breathe: migliaia in piazza cinque anni dopo la morte di George Floyd

Durante la cerimonia principale a Houston, il reverendo Al Sharpton ha preso la parola davanti alla famiglia Floyd e a una folla composta ma determinata. “George rappresenta milioni di persone schiacciate ogni giorno da un sistema che continua a permettere abusi,” ha detto. Intorno a lui, attivisti, cittadini, giovani studenti: tutti presenti per ribadire che quella morte non è stata invano e che la memoria non si baratta con il silenzio.

Accuse all’amministrazione Trump: “Diritti civili in regressione”
Nel cuore delle commemorazioni, non sono mancate critiche dure all’attuale presidente Donald Trump, indicato da molti come responsabile di un arretramento nei diritti civili. Gli attivisti hanno accusato l’amministrazione di aver smantellato o bloccato le riforme avviate dopo il 2020, preferendo un ritorno a politiche securitarie aggressive che, secondo loro, alimentano discriminazione e tensioni razziali. La memoria di Floyd, in questo contesto, è diventata resistenza simbolica e politica.

La potenza delle immagini e la persistenza del dolore
Le fotografie diffuse da Associated Press raccontano senza filtri la densità emotiva di questo anniversario: cartelli con la scritta “I can’t breathe”, lacrime, silenzi, mani levate verso il cielo. Sono scatti che non celebrano soltanto il passato, ma denunciano un presente ancora incompleto. Cinque anni dopo, George Floyd resta il volto di un’urgenza americana: costruire una giustizia che non si limiti alla memoria, ma diventi struttura concreta della democrazia.
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