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Le spine di Giorgia Meloni: dopo il successo alle europee, un 'horribilis mensis''

- di: Redazione
 
Le spine di Giorgia Meloni: dopo il successo alle europee, un 'horribilis mensis''
La netta vittoria alle elezioni europee (sulla scia di quelle nazionali del settembre dello scorso anno) aveva dato a Giorgia Meloni più d'un fondato motivo per fare squillare le trombe della soddisfazione personale, dal momento che quello che Fratelli d'Italia ha incassato, come partito, si deve essenzialmente alla capacità della sua leader di affermarsi personalmente, e non invece, come accade in altre formazioni politiche, come forza d'insieme.
Ma, almeno al momento, Giorgia Meloni è come un ciclista che fa una lunga tirata in vista del traguardo, pensando di essere in testa al gruppo, e che invece si ritrova a vincere in solitudine. Perché, e lo diciamo pensando che questo giudizio sia condiviso anche in Fratelli d'Italia, il partito della premier è ancora lontano dall'esprimere, ad ogni livello, una classe dirigente degna di tale nome e soprattutto in grado di reggere il peso dell'enorme responsabilità che le è stata affidata dall'elettorato.

Le spine di Giorgia Meloni: dopo il successo alle europee, un 'horribilis mensis''

Ma la stessa Meloni qualche domanda sulla fondatezza delle sue scelte se la deve porre perché, dato per scontato che tutto può cambiare dall'oggi al domani, in virtù di nuove o resuscitate alleanze, se l'Italia oggi è isolata in Europa non lo si deve a colpe specifiche del Paese, ma alla pervicacia con cui il nostro primo ministro, avendo in testa uno scenario, lo ha perseguito incurante dell'alto rischio che tutto andasse per aria.
L'esito (negativo per Meloni) delle consultazioni che hanno definito la composizione della Triade alla guida dell'Ue (presidenti della Commissione e del Consiglio e Alto rappresentante per la politica estera) è suonata come una campana a morte dell'idea che i conservatori, di cui Giorgia Meloni è leader europea, potessero essere determinanti, anche se l'asse popolari-socialisti-liberali una maggioranza - sebbene non schiacciante - già l'avevano in tasca.

E quando chi ha vinto ha ristretto il tavolo dei vincitori, apparecchiando per tre piuttosto che per quattro (per come sperava il nostro primo ministro), il quadro che si è delineato è stato una doccia fredda per gli esclusi. Qui forse Meloni ha pagato il fatto di essersi presentata al tavolo (sperato) delle trattative come presidente del Consiglio di uno dei Paesi fondatori dell'Unione, ma anche come punto di riferimento dei conservatori europei, in una commistione di ruoli che ha probabilmente nuociuto alle speranze del nostro premier. Quindi, se ''chiedeva'' per l'Italia, lo faceva anche per i conservatori? È questa indeterminatezza che alla fine ha forse nuociuto al disegno di Giorgia Meloni, che non ha portato niente a casa per ltalia e per Ecr. Il tutto mentre Matteo Salvini ''lavora'' alla coalizione di governo da posizioni che si stanno sempre più spostando verso l'estrema destra, come conferma l'attenzione che il leader leghista riserva alla nascita di un nuovo gruppo in Europa, a destra - molto più a destra - dei conservatori.

Ma Giorgia Meloni è incappata anche in altri problemi, questa volta in casa propria, dopo l'inchiesta giornalistica di Fanpage che ha denunciato la deriva anti-semita e filo-nazista che si respira in seno ad alcune componenti della sua organizzazione giovanile.
Un fatto increscioso, da cui il partito ha preso le distanze, ma con dei distinguo che sono suonati come un volere ''addolcire'' la condanna formale dell'accaduto, pur stigmatizzando con durezza le frasi contro gli ebrei e i sieg heil, urlati a mo' di saluto. Lo ha fatto attaccando chi - Fanpage - ha sollevato il caso, sostenendo, come hanno fatto Meloni e Donzelli, che è gravissimo che un partito venga infiltrato da una ''quinta colonna''.
Insomma, Fratelli d'Italia ha preso atto dell'accaduto, ma ha accusato chi lo ha rivelato. Cosa che corre sul sottile filo del diritto: quello dei partiti a ragionare al loro interno, nella certezza di discutere senza che quel che si dice venga reso pubblico e, di contro, il diritto dell'opinione pubblica a essere informata.
Dove sta, quindi, la ragione, nella richiesta del diritto alla riservatezza o nell'esigenza della gente (anche di destra) di sapere cosa pensano coloro che si candidano (o si candideranno vista la giovane età dei ''Fratellini d'Italia'' intercettati) a governarli domani?

In ogni caso non era certo quello che Meloni s'aspettava accadesse e ora si trova davanti ad un bivio: portare sino all'estremo l'esecrazione di Fratelli d'Italia per l'accaduto (assumendo le consequenziali decisioni, al di là di dimissioni e autosospensioni) o lasciare che il disgusto decanti, spianando la strada all'oblio?
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