La Great Resignation arriva in Italia: 9 lavoratori su 10 sono insoddisfatti e il 97% abbandona l’impiego senza “Piano B”

- di: Barbara Bizzarri
 

Il post pandemia ha portato, oltre a parecchie conseguenze tutte potenzialmente catastrofiche, anche un altro effetto alquanto imprevisto: l’insofferenza al lavoro, che accomuna l’Italia e il mondo in una massiccia tornata di autolicenziamenti. In Italia, in particolare, una recente indagine dell’Unicusano evidenzia che ben nove italiani su dieci hanno manifestato profonda insofferenza per il proprio lavoro, decidendo nel 43% dei casi di abbandonarlo. Una scelta per nulla sofferta, tanto che addirittura il 97% delle persone non prevedeva alcun “piano B”.

La Great Resignation arriva in Italia: 9 lavoratori su 10 sono insoddisfatti e il 97% abbandona l’impiego senza “Piano B”

A patire maggiormente questa insofferenza, le donne e i giovani sotto i 27 anni: il 77% ha deciso di rinunciare a contratto e carriera professionale in cambio di una maggiore libertà personale. A destare grande preoccupazione un altro dato che emerge dallo studio dell’Unicusano: se nell’ultima fotografia scattata dall’Istat si contavano 25 milioni di occupati nel 2022, fra dipendenti e autonomi, per l’ateneo telematico soltanto l’11% di loro è riuscito a raggiungere un equilibrio psico-professionale ideale. Ovvero poco meno di tre milioni di persone. Ciò che ha pesato maggiormente sulle spalle dei lavoratori e li ha costretti ad assentarsi ripetutamente è legato alla sfera psicologica e in particolar modo al burnout, quello stato di esaurimento nervoso a livello fisico, mentale ed emotivo causato da una serie di fattori legati proprio al lavoro: un malessere che ha toccato la salute di quasi cinque italiani su dieci.

La cosiddetta “Great Resignation”, così come l’hanno ribattezzata in America, affonda le sue radici in job-creep, quiet quitting e nomadismo digitale: l’Unicusano ha scattato una fotografia poco felice della considerazione che hanno gli italiani del posto di lavoro, scoprendo come le “Grandi Dimissioni” coinvolgano da vicino milioni di italiani, soprattutto Under 35 (43%). Per l’Unicusano, alla base della scelta di darsi alla fuga, ci sono diverse motivazioni: si va dall’insoddisfazione personale alla ricerca di migliori condizioni economiche, dal desiderio di una maggiore flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro, alla rottura dei rapporti interpersonali con i colleghi. Soprattutto, gli italiani ricercano un nuovo equilibrio, una nuova dimensione fra vita privata e vita lavorativa, oggi troppo sbilanciata verso quest’ultima per via di una società iper-competitiva, iper-veloce, iper-digitalizzata sembra aver preso il sopravvento senza alcuna possibilità di resa.

Nel Belpaese sono recentemente esplosi anche altri fenomeni inquietanti, stando allo studio dell’Unicusano. Tra questi spicca il quiet quitting: oltre due milioni di lavoratori si limitano a fare lo stretto necessario, non sentono valorizzati i propri talenti, non sono coinvolti emotivamente nell’attività lavorativa, non credono nei valori, messaggi, prodotti e servizi dell’azienda. Altro ancora è job creeper, che colpisce il 6% delle persone schiacciate dal peso del lavoro a tal punto da fondere insieme le due sfere, lavorativa e privata. Ad alimentare il fenomeno delle Grandi Dimissioni sono proprio i giovani fra i 24 e i 35 anni, che gli economisti hanno ribattezzato flow generation: giovani dal futuro incerto, lontani dal concetto di lavoro a tempo indeterminato, in balìa delle nuove professioni e con un’identità mutevole a seconda delle esigenze e delle sfide del futuro digitalizzato. Figli della crisi del 2008 e di chi spendeva più di quanto potesse, hanno trovato nel nomadismo digitale la loro forma più pura di espressione. Oggi sono 35 milioni in tutto il mondo, con un valore economico di 787 miliardi di dollari.

La pandemia ha tolto tempo ma ha regalato tempo, e questo i nuovi nomadi digitali lo sanno bene perché sono loro, soprattutto in questi ultimi tre anni, ad aver rivendicato spazio e tempo: per la vita, le passioni, i talenti, le aspirazioni, gli affetti, la libertà di scelta, l’autorealizzazione. Così, spazio, tempo e movimento sono diventati uno scopo primario, che ispira nuove forme identitarie e professionali, prive di confini fisici e mentali, per chi lavora da remoto in qualsiasi parte del mondo. E, nell’85% dei casi, sono più felici e realizzati di quanto fossero a casa, (co)stretti nelle quattro mura di un ufficio. Ecco la risposta ad una precarietà auto-imposta, e la sfida che adesso i reparti HR devono saper cogliere, valorizzando le persone, per dare a tutti la possibilità di crescere.

Tags: lavoro
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