Leone XIV, il Papa inatteso che chiede perdono: “Io, scelto senza meriti”
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Nel cuore di Piazza San Pietro, davanti a duecentomila fedeli raccolti in un silenzio emozionato, il nuovo Pontefice Leone XIV ha pronunciato parole che non si sentivano da tempo: “Sono stato scelto senza meriti”. Un’ammissione radicale, che non è soltanto un gesto di umiltà, ma una presa di posizione teologica e politica, nella Chiesa e nel mondo. In un’epoca dominata da autocelebrazione, slogan e leadership assertive, l’idea che un uomo chiamato a guidare oltre un miliardo di cattolici si presenti come indegno, persino inadeguato, cambia il tono del pontificato ancor prima che ne siano delineate le linee guida.
Leone XIV, il Papa inatteso che chiede perdono: “Io, scelto senza meriti”
Alla cerimonia d’insediamento erano presenti i reali di Spagna, il principe di Monaco, il vicepresidente americano J.D. Vance, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. La presenza congiunta di questi attori geopolitici indica che il mondo guarda con attenzione al nuovo corso vaticano. E lo fa in un momento storico in cui le grandi fedi sono di nuovo interrogate sul loro ruolo nel conflitto, nella pace, nella convivenza tra i popoli. “Siamo grati per le sue parole: tra l’Italia e il Pontefice esiste un legame indissolubile”, ha detto von der Leyen, sottolineando come il papato continui a essere anche un attore politico globale, non solo spirituale.
L’appello per Gaza e l’Ucraina: la voce dell’umanità
Nel discorso inaugurale, Leone XIV ha posto l’accento su due ferite aperte del mondo contemporaneo: la guerra in Ucraina e il conflitto a Gaza. Nessuna ambiguità, nessuna prudenza diplomatica eccessiva: il Papa ha parlato di “sofferenza inaccettabile”, ha chiesto “una tregua vera, fondata sul rispetto della dignità umana” e ha invocato l’intervento dei leader per “una pace che non umili né i vinti né i vincitori”. Sono parole che sfidano il cinismo delle trattative geopolitiche e che riportano al centro il ruolo della coscienza morale, una delle poche che ancora possa essere ascoltata da entrambe le parti.
Una Chiesa che torna alla sorgente?
Il richiamo all’umiltà e alla pace non è soltanto un esercizio retorico. È l’indizio di un orientamento profondo. Leone XIV sembra voler guidare una Chiesa che torna a parlare il linguaggio evangelico senza sovrastrutture, che non rinuncia alla dottrina ma non la impone come barriera identitaria. Una Chiesa che non fugge le sfide culturali, ma nemmeno si chiude in una cittadella assediata. I primi gesti, sobri e meditati, fanno pensare a un pontificato che sarà meno mediatico ma più incisivo nei processi di lungo periodo.
Un Papa per il nostro tempo inquieto
In un’epoca segnata da polarizzazioni, nazionalismi, disincanto verso le istituzioni, la figura di Leone XIV arriva come una sorpresa, forse come una provocazione. Non parla da sovrano, non si presenta come salvatore, ma come pastore ferito. E forse proprio in questa ferita riconosciuta c’è la possibilità di un nuovo inizio per la Chiesa, e per il mondo che la guarda. Non da spettatore, ma da interlocutore affamato di senso.