A Doha si consumano ore decisive per il destino di Gaza. I mediatori di Qatar, Stati Uniti ed Egitto hanno imposto un ultimatum a Hamas, chiedendo il rilascio di dieci ostaggi israeliani in cambio di una tregua di sessanta giorni. Il messaggio trasmesso dai negoziatori è chiaro: questa potrebbe essere l’ultima occasione per evitare che Israele riprenda l’offensiva nella Striscia.
Ultimatum dei mediatori a Hamas: “Ultima possibilità per fermare la guerra”
Hamas si trova così di fronte a una scelta cruciale. Dopo mesi di guerra, con un bilancio umanitario devastante e una pressione militare crescente, il movimento islamista sa che il margine di manovra è sempre più stretto. Una nuova offensiva israeliana potrebbe rivelarsi più dura delle precedenti, con un’espansione delle operazioni di terra e un attacco mirato alle ultime roccaforti dell’organizzazione.
La tensione tra Hamas e l’Autorità Palestinese
Mentre i negoziati proseguono, la tensione cresce anche sul fronte interno palestinese. L’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen ha reagito con rabbia alla notizia dei colloqui tra Hamas e gli Stati Uniti, accusando il movimento islamista di voler trattare il futuro di Gaza senza il coinvolgimento di Ramallah.
Secondo la leadership palestinese in Cisgiordania, queste trattative rappresentano un affronto all’unità nazionale e una violazione della legge palestinese, che vieta contatti con soggetti stranieri senza il consenso dell’ANP. Per Abu Mazen, Hamas sta cercando di accreditarsi come interlocutore privilegiato con Washington, scavalcando l’unica autorità riconosciuta ufficialmente a livello internazionale. Un colpo durissimo alla già fragile coesione politica palestinese, che rischia di spaccarsi ulteriormente.
Dal punto di vista di Hamas, però, l’ANP ha sempre mantenuto una posizione ambigua. Il movimento islamista accusa Ramallah di essere debole di fronte a Israele e di non aver mai realmente sostenuto la lotta per Gaza. In questa partita, ogni mossa ha conseguenze che vanno ben oltre i confini della Striscia.
Le mosse della diplomazia internazionale
Dietro le quinte, le potenze regionali e internazionali stanno giocando un ruolo fondamentale nel determinare l’esito di questa trattativa. Il Qatar, tradizionale sponsor di Hamas, si trova a gestire una posizione delicata, cercando di equilibrare il suo ruolo di mediatore con l’Occidente senza abbandonare completamente il movimento islamista.
L’Egitto, da sempre diffidente nei confronti di Hamas, ha tutto l’interesse a favorire una tregua che possa stabilizzare il confine con Gaza e rafforzare la propria influenza sulla Striscia. Al tempo stesso, Il Cairo non vuole che il movimento islamista esca troppo rafforzato dalla crisi, temendo ripercussioni anche sul proprio territorio.
Gli Stati Uniti, da parte loro, sono impegnati in un difficile gioco di equilibri. Da un lato, vogliono evitare che il conflitto si trasformi in un’escalation ancora più ampia che coinvolga l’intera regione. Dall’altro, devono mantenere saldi i rapporti con Israele, che continua a considerare Hamas un’organizzazione terroristica da eliminare. La posizione di Washington è chiara: la tregua è preferibile, ma solo se non compromette la sicurezza israeliana.
Netanyahu pronto a riprendere l’offensiva
In questo scenario, Israele osserva con attenzione l’evolversi della situazione. Benjamin Netanyahu sa che ogni giorno di stallo gioca a suo favore: se Hamas rifiuterà l’accordo, l’opzione militare tornerà inevitabilmente sul tavolo.
Tel Aviv ha già dimostrato di essere pronta a operazioni di lunga durata, con l’obiettivo dichiarato di smantellare Hamas una volta per tutte. Se il negoziato fallirà, la guerra riprenderà con una violenza ancora maggiore, con conseguenze drammatiche per la popolazione civile di Gaza.
Hamas è ora davanti a una scelta che segnerà il futuro della Striscia e degli equilibri regionali. Il tempo concesso dai mediatori sta per scadere e ogni esitazione potrebbe trasformarsi in una condanna definitiva.