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Arrestato e incarcerato Bolsonaro: “Ho provato ad aprire il braccialetto”

- di: Vittorio Massi
 
Arrestato e incarcerato Bolsonaro: “Ho provato ad aprire il braccialetto”

L’ex presidente confessa di aver usato una saldatrice sul dispositivo elettronico: la rivelazione scatena l’arresto immediato, il trasferimento in cella e un terremoto politico.

(Foto: Jair Bolsonaro quando era presidente del Brasile).

L’immagine che fa il giro del Brasile è quella di una porta che si chiude dietro Jair Bolsonaro. Stavolta non è una metafora politica: è la porta della cella dove l’ex presidente è stato rinchiuso dopo l’ordine di arresto e carcerazione firmato dal giudice della Corte suprema Alexandre de Moraes. A innescare la misura più dura non è stata una nuova prova tecnica, né un’indagine sofisticata. È stato lo stesso Bolsonaro.

Secondo quanto emerge dal rapporto ufficiale del Segretariato dell’Amministrazione penitenziaria e da un video immediatamente ripreso dai media brasiliani, l’ex presidente ha confessato spontaneamente di aver tentato di aprire il braccialetto elettronico usando una saldatrice. Una frase che pesa come un macigno: “Ho usato una saldatrice per ferro… curiosità”.

Per la Corte, quella “curiosità” è la prova di un pericolo di fuga ormai diventato ingestibile. E così i domiciliari vengono revocati. Bolsonaro viene prelevato all’alba dalla polizia federale e condotto in carcere.

La confessione che cambia tutto

Il dispositivo elettronico applicato a Bolsonaro mostrava bruciature lungo tutta la circonferenza, specialmente nella zona di chiusura. All’arrivo di un’agente della polizia penitenziaria, l’ex presidente non ha cercato scuse: ha ammesso di aver tentato di aprire il braccialetto usando una saldatrice da ferro. Nessun urto contro una scala, nessuna casualità: una vera manomissione.

Secondo il rapporto, la direttrice della Polizia penitenziaria Rita Gaio e altri agenti hanno immediatamente verificato i danni, riscontrando segni inequivocabili di calore. De Moraes non ha avuto dubbi: la confessione diventa uno dei cinque elementi determinanti che lo portano a ordinare l’arresto immediato.

Dai domiciliari alla cella di sicurezza

L’alba a Brasilia è appena iniziata quando gli agenti della Polícia Federal si presentano alla porta del condominio dove Bolsonaro trascorreva i domiciliari dal 4 agosto. In pochi minuti viene fatto salire su un mezzo blindato diretto al quartier generale della polizia, dove una cella di dodici metri quadrati era stata predisposta proprio per una sua eventuale custodia cautelare.

La stanza, ristrutturata di recente, dispone di bagno, letto, scrivania, televisione, aria condizionata e frigobar. Il giudice ha anche ordinato assistenza medica costante, ritenendo le condizioni fisiche dell’ex presidente “meritevoli di monitoraggio”.

Il timore di fuga e lo spettro dell’asilo

Il tentativo di aprire il dispositivo elettronico non è stato interpretato come un gesto isolato. Da mesi le autorità temono che Bolsonaro potesse cercare asilo in un’ambasciata straniera. Il giudice cita espressamente la possibilità che l’ex presidente puntasse proprio verso la rappresentanza diplomatica degli Stati Uniti, situata a pochi chilometri dalla sua abitazione.

Nell’ordinanza, de Moraes parla di un comportamento che “minaccia l’efficacia della misura cautelare” e “alimenta il rischio concreto di fuga”. La frase pronunciata da Bolsonaro davanti agli agenti diventa così la conferma di un sospetto che serpeggiava già da tempo.

La difesa prova ad arginare l’emergenza

Gli avvocati dell’ex presidente sostengono che Bolsonaro abbia agito senza reale volontà di evadere, parlano di “condizioni di salute delicate” e minimizzano il gesto come un episodio privo di intenzione criminale. Ma la Corte non sembra incline a crederci.

La sobria ammissione – “Ho usato una saldatrice per ferro… curiosità” – diventa un boomerang giudiziario. La Corte richiede alla difesa di presentare una spiegazione formale entro 24 ore, segnalando la gravità del comportamento e la necessità di chiarire ogni dettaglio.

Un Paese che festeggia e un altro che grida al complotto

Come sempre quando si parla di Bolsonaro, la reazione del Brasile è doppia e opposta. I sostenitori del governo progressista si radunano davanti al quartier generale della polizia, esultano, scattano foto, stappano bottiglie e parlano di “giornata storica per la democrazia”.

Dall’altra parte, la destra radicale grida alla persecuzione. Uno dei figli di Bolsonaro invita alla mobilitazione per ottenere una futura amnistia, mentre il governatore di San Paolo, Tarcísio de Freitas, parla di “misura disumana”. L’ex vicepresidente Hamilton Mourão denuncia una “caccia politica” orchestrata contro il leader dell’estrema destra.

Le conseguenze politiche e il conto che arriva al 2026

L’arresto e la detenzione di Bolsonaro ridisegnano gli equilibri della politica brasiliana a pochi mesi dall’avvio della competizione per le elezioni del 2026. Pur essendo già ineleggibile, la sua figura resta centrale nel campo conservatore, che ora deve decidere se puntare su un nuovo leader o continuare a orbitare attorno a un personaggio politicamente potentissimo ma giuridicamente compromesso.

La confessione legata alla saldatrice, ripresa nei video e nei rapporti ufficiali, rischia di diventare un simbolo: la prova definitiva che l’ex presidente è disposto a violare le norme per testare i limiti imposti dalla giustizia.

Un messaggio alle istituzioni e a tutta l’America Latina

L’arresto di Bolsonaro dopo la sua stessa confessione manda un messaggio perentorio: la stagione del “leader al di sopra della legge” sembra essersi chiusa. Non solo per il Brasile, ma per tutta la regione.

In un continente in cui le destre radicali e i populismi puntano spesso a delegittimare le istituzioni, l’immagine di un ex presidente che finisce in cella per aver tentato di aprire un braccialetto elettronico con una saldatrice rappresenta un precedente che farà discutere a lungo.

Questa volta – e il Brasile lo sa bene – a dare la spinta decisiva all’arresto non è stata la giustizia. È stato Bolsonaro stesso.

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