Un patto globale per la salute: l'OMS approva il primo accordo sulle pandemie
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Il mondo non è più lo stesso da quando, nel 2020, un virus ha messo in ginocchio l’economia globale, i sistemi sanitari, le relazioni internazionali. Da allora si è parlato, analizzato, ipotizzato. E ora, finalmente, si agisce. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha approvato nelle ultime ore, durante la 78ª Assemblea Mondiale della Sanità riunita a Ginevra, il primo accordo globale sulla gestione delle pandemie. Un trattato che, nella sua portata simbolica e operativa, vuole marcare una linea netta tra il passato e il futuro. Tra la reattività tardiva di fronte al Covid e la volontà di non ripetere gli stessi errori.
Un patto globale per la salute: l'OMS approva il primo accordo sulle pandemie
Il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, lo ha definito un “momento storico”. Il termine, in questo caso, non appare retorico. Perché per la prima volta i 194 Paesi membri dell’OMS sottoscrivono una cornice di principi condivisi, un’architettura comune per rafforzare le difese sanitarie globali. Il trattato sancisce l’impegno a condividere informazioni in modo trasparente, ad assicurare l’equità nella distribuzione dei vaccini e dei farmaci, ad affrontare le emergenze sanitarie in modo coordinato.
Il nuovo accordo non si limita alle buone intenzioni. Definisce anche strumenti pratici. Come il sistema PABS (Pathogen Access and Benefit-Sharing), pensato per garantire che la condivisione di agenti patogeni – come è avvenuto con i primi ceppi di Covid-19 – sia accompagnata da un’equa distribuzione dei benefici derivanti dalla ricerca e dalla produzione di vaccini. O ancora la Rete Globale per la logistica e la distribuzione dei dispositivi medici, utile a evitare quelle interruzioni catastrofiche che durante la pandemia hanno causato carenze in molti Paesi.
L’equità come bussola
L’accordo mette al centro il principio dell’equità. Una parola densa, che durante la pandemia è stata spesso tradita. L’obiettivo è non lasciare più nessuno indietro. Garantire che anche i Paesi meno sviluppati possano accedere in tempi rapidi a cure e vaccini. E che l’informazione scientifica non venga trattenuta per interesse nazionale o geopolitico.
“Abbiamo imparato molto dal Covid, e dobbiamo tradurre quelle lezioni in politiche concrete”, ha spiegato Ghebreyesus nel suo intervento. “La comunità internazionale ha ora la responsabilità di rispettare questo impegno”. L’adozione dell’accordo avverrà formalmente 30 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 60 Paesi. Ma la sfida vera sarà farlo vivere, dargli gambe.
Tra diplomazia e realtà
Non mancano però le ombre. Il testo, frutto di una lunga trattativa, è il risultato di compromessi faticosi. E non contiene meccanismi sanzionatori. In altre parole, il rispetto degli impegni sarà affidato alla volontà politica dei singoli Stati. Non c’è, almeno per ora, alcun obbligo vincolante. Il trattato nasce dunque come strumento di moral suasion più che di controllo.
Nonostante queste criticità, la sua adozione è stata accolta con favore dalle principali organizzazioni della società civile e da numerosi osservatori internazionali. Perché rappresenta un passo avanti, un’architrave su cui costruire una cultura della cooperazione sanitaria, che superi logiche di nazionalismo vaccinale e isolamento.
Una lezione da non dimenticare
In fondo, questo accordo è anche un atto di memoria. Un modo per non dimenticare le falle evidenti della risposta globale al Covid-19: la lentezza iniziale, l’egoismo degli Stati più forti, la mancanza di coordinamento. L’OMS prova a mettersi al centro di un nuovo ordine sanitario, più cooperativo, più inclusivo, più preparato.
La prossima pandemia, dicono gli scienziati, non è una questione di “se”, ma di “quando”. E proprio per questo, fissare oggi delle regole condivise è un segnale politico di maturità e di responsabilità. L’auspicio è che non resti lettera morta. Perché le prossime emergenze non ci colgano ancora una volta impreparati.