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La prof. mandata via per 'inettitudine', un caso tutto italiano

- di: Bianca Balvani
 
La prof. mandata via per 'inettitudine', un caso tutto italiano
''Inettitudine permanente e assoluta'': mai avremmo pensato, sino ad oggi, di vedere un insegnante (in questo caso una docente) bollata in questo modo da una sentenza della Cassazione, che per lei significa il bando perenne dalla scuola italiana, dove, se abbiamo ben capito, ha pasturato per pochi mesi a fronte dei 24 anni in cui ha figurato a busta paga del Ministero dell'Istruzione.
Per la Cassazione, quindi, la docente, Cinzia Paolina De Lio, 66 anni, originaria di Reggio Calabria, ma che ha insegnato (insegnato???) tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, deve essere mandata via, confermando la decisione presa dal ministero, adottata comunque non solo per la singolare interpretazione del concetto di presenza fisica all'insegnamento, ma anche per come faceva lezione.

La prof. mandata via per 'inettitudine', un caso tutto italiano

Un modo che per il ministero è incompatibile con l'esercizio della docenza. Le vicissitudini (si fa per dire) della docente cominciano nel 2013 quando una indagine ministeriale - evidentemente decisa sulla scorta di qualche segnalazione, magari di superiori della docente -, affidata a tre ispettrici, aveva concluso con un giudizio lapidario sul suo operato: ''Assenza di criteri sostenibili nell’attribuire voti, non chiarezza e confusione nelle spiegazioni, improvvisazione, lettura pedissequa del libro di testo preso in prestito dall’alunno, assenza di filo logico […], attribuzione di voti in modo estemporaneo ed umorale, pessima modalità di organizzazione''.

Non ritenendo necessario alcun commento, bisogna solo aggiungere che, ritenendosi oggetto di un atto privo di alcun fondamento, la prof.De Lio ha impugnato il provvedimento di destituzione del suo incarico. Il primo collegio (il tribunale) nel 2018 le dà ragione. Non la corte d'appello di Venezia, che ritiene invece fondato il provvedimento. L'ultima parola l'ha detta la Cassazione, che ha respinto la tesi della docente che ha rivendicato la ''libertà di insegnamento'' e quindi le scelte da lei fatte. Ma non per i supremi giudici, secondi i quali libertà di insegnamento non significa non insegnare..
Ovvero, non sta a significare che ''l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni''.
Come confermerebbe il fatto che la docente andava in classe senza nemmeno portarsi il libro di testo, chiedendo di volta in volta che qualche alunno glielo prestasse. La faccenda probabilmente, con l'ultima sentenza, è destinata a spegnersi, anche se la prof.De Lio promette di dire la sua, forte delle tre lauree che vanta insieme a specializzazioni in ''pet therapy, storia della medicina, parassitologia del territorio, disturbi specifici dell’apprendimento, igiene mentale dell’adolescenza".

Fatto sta che, sempre che tutti gli accertamenti sul curriculum della docente siano stati eseguiti alla perfezione, per 20 anni su 24 (probabilmente grazie all'esibizione di certificati medici), lei in classe non c'è stata e, quando ci è andata, non è che abbia lasciato negli alunni ricordi indelebili, limitatamente ai suoi metodi educativi.
Il caso è comunque emblematico di come nemmeno davanti all'evidenza si accetti un ''verdetto''. Una cosa che accade solo in Italia, dove la giusta tutela del cittadino lavoratore viene intesa come un lasciapassare perenne per qualsiasi cosa. Come percepire uno stipendio per decine di anni senza nemmeno mettere piede sul posto di lavoro.
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