In un’epoca in cui la politica si mescola sempre più con l’intrattenimento, i salotti istituzionali sembrano aver adottato i toni dei talk show più accesi. L’ultima uscita della vicepresidente del Senato, Licia Ronzulli, ha scatenato un’ondata di reazioni che vanno dall’indignazione alla goliardia: durante una seduta a Palazzo Madama, l’esponente di Forza Italia si è lasciata sfuggire un commento non proprio da galateo istituzionale.
Ronzulli: "Non mi frega Renzi"
"Non me ne frega un c... di quello che pensa Renzi", ha detto con tono sprezzante, non accorgendosi che il microfono era acceso. Dopo un attimo di esitazione, ha tentato di correggersi con un più formale "Sì, sì, non mi interessa quello che pensa il senatore Renzi", ma il danno era ormai fatto. Il video è stato subito rilanciato sui social dalla senatrice Raffaella Paita (Italia Viva), che ha accompagnato le immagini con un commento al vetriolo: "Al tempo delle influencer, ormai il Senato è il bar dello sport di persone mediocri e volgari".
Tra politica e televisione: un confine sempre più sottile
Se un tempo gli scontri politici avvenivano attraverso editoriali sui giornali e dichiarazioni calibrate, oggi sembra che il nuovo campo di battaglia sia lo stile comunicativo da reality show. Il caso Ronzulli si inserisce in una lunga serie di scivoloni linguistici che hanno reso il Parlamento più simile a un’arena televisiva che a un luogo di alta diplomazia.
C’è chi vede in questa schiettezza un segno dei tempi, un modo per avvicinare la politica alla gente comune, rendendola più diretta e senza filtri. Altri, invece, si preoccupano per il progressivo abbassamento del livello del dibattito istituzionale, dove gli insulti prendono il posto degli argomenti e il linguaggio colorito sembra sostituire la dialettica.
Nel frattempo, tra i corridoi di Palazzo Madama si respira un’aria di imbarazzo misto a insofferenza. Qualcuno minimizza, dicendo che si tratta di una semplice espressione colorita, altri si domandano se ormai il bon ton parlamentare sia un concetto superato.
Social in delirio
Mentre il mondo politico si divide tra chi chiede scuse formali e chi derubrica la questione come una polemica sterile, il popolo dei social si scatena. In poche ore, meme e parodie invadono X e Instagram: c’è chi raffigura Ronzulli con una sciarpa da ultras, chi la accosta ai più celebri personaggi dei talk show domenicali, chi propone di cambiare il nome del Senato in "Bar Madama".
Non manca nemmeno chi difende la vicepresidente, sottolineando che gli insulti tra politici non sono certo una novità. Del resto, la storia parlamentare italiana è ricca di battibecchi, epiteti poco lusinghieri e persino qualche scazzottata. La differenza, forse, sta nel fatto che oggi tutto avviene sotto l’occhio dei social media, che amplificano ogni parola, trasformandola in una tempesta virale.
Il caso Ronzulli pone un interrogativo più ampio: stiamo assistendo a una trasformazione irreversibile del linguaggio politico? Se una volta gli insulti tra parlamentari erano mascherati da perifrasi eleganti e citazioni latine, oggi il modello sembra sempre più vicino a quello dei botta e risposta da talk show, con una retorica da stadio.
C’è da chiedersi se il prossimo dibattito sulla legge di bilancio finirà con un sonoro "Nun ce provà" urlato dagli scranni, o se qualche senatore si alzerà per gridare "Te lo dico in faccia", come nei migliori scontri televisivi.
Nel frattempo, in attesa di un’eventuale dichiarazione ufficiale della Ronzulli, i parlamentari più ironici si dicono pronti a presentare una mozione per installare flipper e biliardini nei corridoi del Senato, giusto per rendere l’atmosfera ancora più informale.
Perché, in fondo, l’Italia è sempre stata un laboratorio di innovazione politica. Con o senza spritz.