Gaza, una bomba proibita sul bar al-Baqa: l’accusa di crimine di guerra
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Nel cuore della Striscia di Gaza, tra le macerie del bar al-Baqa, gli esperti hanno identificato i resti di una MK-82, una bomba multiuso da 500 libbre (pari a 230 chilogrammi), di fabbricazione statunitense. Un’arma progettata per distruggere strutture corazzate, veicoli, postazioni militari: non per colpire un luogo frequentato da civili, bambini, sfollati in cerca di refrigerio in un bar sulla spiaggia. Eppure è accaduto. Ed è per questo che ora il gesto militare si carica di una definizione giuridica che pesa come un atto d’accusa: crimine di guerra.
Gaza, una bomba proibita sul bar al-Baqa: l’accusa di crimine di guerra
La bomba ha provocato un’esplosione devastante, lasciando un cratere profondo e dilaniando l’intera struttura del bar. Non si è trattato di un errore, dicono gli esperti consultati dal Guardian, ma di un utilizzo intenzionale di un’arma ad alto potenziale in un’area densamente popolata. Le immagini satellitari e le testimonianze raccolte confermano la traiettoria di un missile lanciato da un jet, senza alcun avviso preventivo. In quel momento, all’interno del locale si stava svolgendo una festa di compleanno. A morire sono stati in 39, tra cui un bambino di quattro anni. Decine i feriti. Tra le vittime, anche il fotografo Ismail Abu Hatab, noto per i suoi reportage sulla vita quotidiana sotto assedio a Gaza.
L’accusa internazionale
«La MK-82 – si legge nell’analisi condotta da esperti di armamenti – è un’arma dalla potenza dirompente, il cui uso in contesto urbano o civile è altamente problematico e, in molti casi, vietato dal diritto internazionale». La bomba, infatti, genera un’onda d’urto violenta e sparge schegge in un ampio raggio, rendendo impossibile distinguere tra obiettivi militari e civili. Per questo la sua applicazione in uno scenario come quello di al-Baqa risulta, secondo i giuristi, “quasi certamente illegale”.
La risposta israeliana
Le forze armate israeliane si difendono affermando di aver preso “tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio per i civili”. Ma i fatti smentiscono la narrazione ufficiale. Le immagini mostrano il bar completamente raso al suolo, i corpi dei presenti devastati, le urla di chi ha assistito all’esplosione. «Erano le stesse persone che vedevo ogni giorno», racconta un testimone alla BBC. «Ho trovato amici, colleghi, giovani uccisi senza preavviso, senza un motivo che possa giustificare tutto questo».
Il precedente che pesa
Non è la prima volta che l’utilizzo di armamenti di questo tipo da parte dell’esercito israeliano solleva interrogativi giuridici e morali. Ma questa volta, la documentazione appare particolarmente chiara: ci sono i frammenti dell’ordigno, le prove dell’impatto, le registrazioni video. E c’è un contesto – una festa, un bar, dei bambini – che rende ogni tentativo di giustificazione ancora più debole.
Una questione di responsabilità
Il raid sul bar al-Baqa diventa così un caso emblematico della guerra in corso: un attacco che va oltre la logica militare, che infrange le regole minime del diritto umanitario. A Gaza, anche un caffè sulla spiaggia può diventare teatro di distruzione. E nel silenzio della comunità internazionale, quella bomba da 230 chili continua a esplodere, ogni giorno, nel cuore dell’opinione pubblica.