Nel pieno del cordoglio globale per la scomparsa di Papa Francesco, la mancanza di un messaggio ufficiale di condoglianze da parte del governo israeliano ha sollevato non poche domande. Una voce autorevole a farsi sentire è stata quella di Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che in un’intervista a Sky TG24 ha dato forma pubblica a un sentimento diffuso: il bisogno di distinguere la linea politica dalla profondità dei legami spirituali e culturali.
Il silenzio israeliano, la voce di Noemi Di Segni e la responsabilità delle relazioni
La morte di Papa Francesco ha rappresentato, per moltissimi leader e credenti nel mondo, l’occasione per ricordare l’impegno di un pontefice che ha fatto del dialogo interreligioso uno dei cardini del suo pontificato. L’assenza di un segnale istituzionale da parte del governo israeliano, in questo contesto, appare stonata.
Israele e le sue scelte che valicano i confini
Di Segni ha voluto richiamare il significato più profondo della rappresentanza statale di Israele. “Israele è lo Stato ebraico – ha affermato – e nell’essere Stato ebraico, le scelte che vengono fatte sono oltre il confine di Israele. Sono per tutti i cittadini di Israele, anche non ebrei, ricordiamolo, perché ci sono cittadini arabi, non di religione ebraica, totalmente coinvolti in questi momenti e in queste scelte, e riguardano tutte le comunità ebraiche del mondo”. Con queste parole ha ricordato che ogni decisione di Tel Aviv risuona ben oltre il suo perimetro geografico. La comunità ebraica globale, italiana compresa, guarda con attenzione e sensibilità a ogni gesto, soprattutto nei momenti di grande rilevanza simbolica.
L’importanza di un gesto, anche solo simbolico
A bilanciare l’assenza del governo Netanyahu è stato il gesto del presidente israeliano Isaac Herzog, che ha inviato le sue condoglianze ufficiali. “Il messaggio del presidente Herzog mi ha fatto piacere – ha detto Di Segni – e riconosco il valore del suo ruolo istituzionale”. Ma è evidente che il peso politico della figura presidenziale, in Israele, è assai più limitato rispetto a quello del governo. Perciò, il silenzio dell’esecutivo ha assunto un significato particolare, specie in un contesto in cui molti capi di Stato, anche di paesi storicamente distanti dalla Chiesa cattolica, hanno voluto marcare la propria presenza con parole pubbliche o con l’annuncio della partecipazione ai funerali.
Un Papa del dialogo, una presenza doverosa
La comunità ebraica italiana ha deciso di partecipare ai funerali di Papa Francesco, pur ricadendo la cerimonia di sabato 26 aprile in corrispondenza dello Shabbat. Una scelta non scontata, ma spiegata con grande chiarezza dalla presidente dell’UCEI. “Francesco era, è stato, un Papa eccezionale e dunque è giusto omaggiarlo adesso con la nostra presenza. L’assenza avrebbe generato molto più disagio”. Un gesto di rispetto che testimonia la consapevolezza di un legame, quello tra la comunità ebraica italiana e il Vaticano, costruito nel tempo e non legato soltanto alla contingenza del momento.
Papa Francesco ha saputo tenere aperta una via di confronto, pur senza mai rinunciare a parole forti e scomode. Il suo impegno per la memoria della Shoah, per il riconoscimento della centralità dell’ebraismo nella storia del cristianesimo e per la lotta a ogni forma di antisemitismo, è stato costante e riconosciuto da più voci nel mondo ebraico. Anche per questo, l’omaggio al pontefice diventa qualcosa di più che un atto di protocollo: è il riconoscimento di un cammino compiuto insieme.
La necessità di non rompere fili invisibili
Per Noemi Di Segni, questo è il momento di “tessere e mantenere legami e relazioni”. Un invito alla responsabilità, che non si rivolge solo a Israele ma all’intera architettura delle relazioni tra popoli e fedi. In tempi in cui i conflitti sembrano prevalere sul dialogo e la polarizzazione cancella le sfumature, preservare la trama delicata delle relazioni interreligiose diventa un dovere civico e morale.
La morte di Papa Francesco, oltre a segnare la fine di un’epoca, ha riportato alla luce la necessità di tenere vivo il dialogo. Anche tra mondi che, nei loro vertici politici, talvolta sembrano incapaci di parlarsi. Le parole di Di Segni, pacate ma nette, restituiscono il senso profondo di questa esigenza. In un’epoca di fratture, la relazione tra l’ebraismo e il cattolicesimo può essere un laboratorio di ascolto. Ma a una condizione: che non venga meno il gesto, il segnale, l’attenzione. Anche quando non si è d’accordo, anche quando si è distanti. Perché certe relazioni, come ha ricordato la presidente dell’UCEI, esistono proprio per superare le distanze.