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Siria, sei arresti per l’attentato suicida alla chiesa ortodossa: il governo accusa l’Isis

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Siria, sei arresti per l’attentato suicida alla chiesa ortodossa: il governo accusa l’Isis

Il governo siriano ha annunciato l’arresto di sei persone in relazione all’attentato suicida che ha colpito ieri la chiesa greco-ortodossa di Damasco, provocando decine di morti tra i fedeli riuniti per una celebrazione religiosa. Il gesto, subito definito un’azione terroristica dalle autorità locali, ha riportato il terrore nel cuore della capitale, in un quartiere storicamente considerato sicuro e simbolo della resistenza della comunità cristiana nel Paese. L’esplosione ha devastato la navata principale dell’edificio sacro, seminando il panico e lasciando sul terreno una scia di sangue e devastazione.

Siria, sei arresti per l’attentato suicida alla chiesa ortodossa: il governo accusa l’Isis

Secondo quanto riferito dall’intelligence siriana, i sei arrestati sarebbero legati a cellule dormienti dello Stato Islamico ancora attive nella regione. Le autorità hanno ricostruito le fasi dell’attacco come un’operazione coordinata, con l’impiego di un attentatore suicida dotato di un giubbotto esplosivo entrato indisturbato nella chiesa pochi minuti prima dell’inizio della funzione. Pur in assenza di una rivendicazione ufficiale, Damasco attribuisce la responsabilità diretta all’Isis, sottolineando come la scelta del bersaglio – una minoranza religiosa storica – indichi una strategia deliberata per destabilizzare l’equilibrio sociale e alimentare divisioni confessionali.

La comunità cristiana nel mirino
Le comunità cristiane della Siria, già colpite durante gli anni più violenti del conflitto civile, tornano oggi a sentirsi vulnerabili. La chiesa greco-ortodossa presa di mira rappresentava non solo un luogo di culto, ma anche un punto di riferimento culturale e identitario per migliaia di fedeli. L’attacco riapre ferite ancora non rimarginate e richiama alla memoria i tragici episodi di persecuzione avvenuti tra il 2013 e il 2017, quando gruppi jihadisti controllavano ampie porzioni del territorio siriano e attuavano sistematiche campagne di pulizia religiosa e intimidazione. L’attentato arriva inoltre in un momento in cui il governo centrale cerca di presentarsi come garante della sicurezza e della convivenza interreligiosa.

Silenzio strategico o mancanza di controllo?
L’assenza di una rivendicazione da parte dell’Isis alimenta dubbi tra gli analisti internazionali. C’è chi ipotizza che l’organizzazione stia modificando la propria strategia comunicativa, privilegiando l’effetto destabilizzante dell’ambiguità. Altri ritengono che le nuove cellule operative non siano più controllate direttamente dalla leadership jihadista, ma agiscano in maniera autonoma, rendendo più difficile anticiparne le mosse. In entrambi i casi, il segnale è chiaro: l’Isis, o ciò che ne resta, conserva ancora la capacità di colpire con ferocia obiettivi simbolici in contesti ad alta sensibilità.

Damasco e la narrazione del controllo ritrovato
Per il governo di Bashar al-Assad, l’attacco rappresenta una sfida diretta alla narrativa di una Siria pacificata e pronta alla ricostruzione. Dopo oltre un decennio di guerra civile, il regime ha cercato di riposizionarsi come baluardo contro il terrorismo islamico, rilanciando una visione di stabilità interna garantita dalle forze governative. Ma episodi come quello avvenuto a Damasco minano la credibilità di questo racconto e mettono in discussione la reale efficacia delle misure di sicurezza. L’arresto tempestivo di sei sospetti, pur utile a rafforzare l’immagine di efficienza dello Stato, non cancella il senso di insicurezza che l’attentato ha generato, soprattutto in quelle comunità minoritarie che si erano illuse di poter vivere in pace.

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