Farmaci, plastica e batteri resistenti nel mirino di un sistema UV sperimentale testato in Emilia-Romagna. Obiettivo: acqua più pulita, ambiente più sicuro.
Una nuova frontiera nella depurazione delle acque
Nel cuore dell’Emilia-Romagna, tra Ferrara e Bologna, si sta sperimentando una tecnologia che potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui trattiamo le acque reflue. Non si tratta di un nuovo filtro o di una vasca di sedimentazione più efficace, ma di un’arma invisibile e letale per gli inquinanti più insidiosi: la luce. Precisamente, la luce ultravioletta.
Il progetto in corso – battezzato INTECH4WATER – riunisce scienziati, ingegneri e aziende pubbliche e private attorno a un obiettivo chiaro: eliminare microinquinanti emergenti dai flussi di scarico urbani e industriali, spingendosi oltre i limiti della depurazione tradizionale.
Microinquinanti, il nemico invisibile
Ma cosa sono i microinquinanti emergenti? Non si vedono a occhio nudo, non cambiano il colore dell’acqua, ma agiscono in profondità. Sono molecole residue di farmaci, antibiotici, antinfiammatori, interferenti endocrini e sostanze rilasciate da plastiche e cosmetici. Tra le più note, la carbamazepina, il diclofenac, l’eritromicina e il bisfenolo A.
A differenza dei batteri o delle sostanze organiche comuni, questi inquinanti passano spesso indisturbati attraverso i filtri. E qui entra in gioco la nuova tecnologia a raggi UV, progettata per colpirli selettivamente e disgregarli prima che tornino nell’ambiente.
Diclofenac al tappeto: abbattimento oltre il 99%
“I risultati preliminari sono molto promettenti, soprattutto per il diclofenac, con tassi di abbattimento superiori al 99%”, afferma Luigi Sciubba, responsabile ENEA del progetto. I test sono stati condotti sia su campioni preparati in laboratorio che su acque reali prelevate dal depuratore di Ferrara.
Per analizzare la presenza di microinquinanti, l’ENEA utilizza un sofisticato cromatografo liquido collegato a tre rilevatori ad alta sensibilità. Lo strumento consente di identificare contaminanti in tracce di nanogrammi.
La battaglia contro le microplastiche
Il progetto affronta anche un altro spettro: le microplastiche. I ricercatori hanno sviluppato una tecnologia di campionamento ad alta precisione che cattura le particelle più piccole e ne analizza la composizione chimica con spettroscopia infrarossa.
“Stiamo lavorando a un sistema che non solo elimini gli inquinanti, ma li riconosca e quantifichi in tempo reale, così da poter intervenire in modo mirato”, sottolinea Roberta Guzzinati, ricercatrice ENEA.
Dall’acqua agli impieghi agricoli: niente si spreca
Uno dei risultati collaterali del processo è la produzione di biomasse microalgali, preziose per fertilizzanti, mangimi e produzione di energia. Un’idea coerente con l’economia circolare, che trasforma uno scarto in risorsa.
“L’obiettivo è garantire acque sicure che possano essere restituite all’ambiente o reimpiegate per usi irrigui, industriali o urbani”, spiega la professoressa Simonetta Pancaldi, coordinatrice del progetto.
Risposta alle sfide europee
Il progetto risponde alla nuova Direttiva 3019/2024 dell’UE sui reflui urbani, che impone standard più severi per la rimozione dei microinquinanti. La logica è quella del paradigma “One Health”: salute umana, animale e ambientale sono strettamente collegate.
Il consorzio INTECH4WATER adotta un approccio modulare e intelligente, con tecnologie testate su scala pilota e poi integrate per adattarsi a diversi carichi inquinanti.
L’Italia in ritardo, ma non senza eccellenze
Secondo dati aggiornati, oltre il 40% degli impianti italiani non soddisfa pienamente i requisiti UE. Tuttavia, progetti come INTECH4WATER dimostrano che la ricerca applicata italiana può fare la differenza.
Un’altra sperimentazione parallela è in corso a Milano, dove un reattore a ozono e carboni attivi ha dato buoni risultati sull’abbattimento di farmaci e interferenti endocrini.
Una sfida urgente, non rinviabile
In un’epoca segnata da scarsità idrica e inquinamento diffuso, l’innovazione tecnologica non è un’opzione, ma una necessità impellente. Superare il vecchio paradigma della depurazione tradizionale è l’unica strada percorribile.
L’esperimento in Emilia-Romagna è un segnale concreto: la ricerca pubblica può essere utile, integrata con il territorio e capace di offrire soluzioni reali. Quando la luce diventa scienza, anche l’acqua più sporca può tornare limpida.