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Trump arrabbiato e sotto tono: Natale amaro alla Casa Bianca

- di: Marta Giannoni
 
Trump arrabbiato e sotto tono: Natale amaro alla Casa Bianca
Trump a Natale: boom promesso, dazi e sondaggi contro
Diciotto minuti dalla Casa Bianca addobbata: numeri, promesse e stoccate a Biden. Ma fuori dallo schermo il Paese ripete un’altra parola: prezzi.

La scena: poca improvvisazione, molto messaggio

È un Trump insolitamente “in corsia di sorpasso” quello visto nel messaggio pre-natalizio: ritmo serrato, pochi detour, nessuna digressione di quelle che di solito allungano e incendiano i comizi. Il formato è studiato: telecamera, alberi di Natale, salone istituzionale e una promessa ripetuta come un ritornello: l’America sarebbe “pronta” a un boom economico nel 2026.

Il cuore politico del discorso è altrettanto chiaro: Trump chiede tempo e prova a ricompattare la base in vista delle midterm del 2026. Secondo diverse ricostruzioni giornalistiche; il presidente ha insistito sull’idea di aver “ereditato” problemi strutturali e di stare rimettendo in ordine i conti, mentre attribuisce al predecessore Joe Biden la radice delle difficoltà.

Il nodo vero: “Affordability”, la parola che brucia

Se c’è un test che la Casa Bianca sta perdendo, è quello della quotidianità: spesa, affitti, bollette, sanità. Non a caso, l’ossessione mediatica americana resta la famosa “affordability”, la capacità di arrivare a fine mese senza fare acrobazie.

Nel discorso natalizio Trump ha provato a spostarsi su un terreno più empatico: ha ammesso che i prezzi restano alti, ma ha promesso che scenderanno “molto in fretta”. Reuters (18 dicembre 2025) riporta la frase in questa forma: “I am bringing those high prices down… very fast”. Il problema è che, fuori dallo Studio Ovale, l’ansia non è una percezione: è una riga di bilancio familiare.

I numeri dell’inflazione: il 2,7% c’è, ma è un dato “sporco”

Trump ha sventolato segnali di frenata dell’inflazione, ed esiste un dato che gli dà appiglio: il Consumer Price Index di novembre segna un +2,7% su base annua. È scritto nero su bianco nel bollettino ufficiale del Bureau of Labor Statistics pubblicato il 18 dicembre 2025.

Ma qui arriva l’asterisco… senza stelline: quel 2,7% è stato accolto con scetticismo da molti economisti perché la rilevazione è stata influenzata dalla chiusura del governo federale e da carenze di raccolta dati. Reuters, Financial Times e Washington Post (tutti il 18 dicembre 2025) sottolineano che l’indicatore potrebbe essere stato distorto da misurazioni incomplete e stime tecniche. Morale: il dato aiuta la narrazione, ma non chiude la discussione.

Perché la gente non “sente” il calo

Anche quando l’inflazione rallenta, non significa che i prezzi tornino indietro: spesso smettono semplicemente di correre allo stesso ritmo. In più, alcune voci restano incandescenti (cibo, energia, abitazione). Reuters segnala aumenti marcati su prodotti come caffè e carne bovina, e rincari su elettricità. È esattamente il tipo di spesa che le famiglie vedono ogni settimana, non nei grafici.

Sanità: la miccia dei sussidi ACA in scadenza

Nel pacchetto delle preoccupazioni c’è una bomba a orologeria: i crediti d’imposta “rafforzati” per le polizze dell’Affordable Care Act (ACA). Se non vengono prorogati, scadono a fine 2025.

La documentazione del Congresso spiega cosa significa: molte famiglie rischiano premi più alti nel 2026. Kaiser Family Foundation stima un impatto medio molto pesante sulle tasche di chi compra copertura nei marketplace, con aumenti rilevanti dei pagamenti annuali. E diversi operatori locali, come Covered California, avvertono già di rialzi dei premi dal 1° gennaio 2026 se le regole restano così.

Traduzione politica: quando Trump accusa i democratici di aver lasciato macerie, l’opposizione risponde che la Casa Bianca sta lasciando scoperto un fronte che tocca milioni di assicurati. È uno scontro perfetto da campagna elettorale, con un dettaglio non secondario: la scadenza è immediata.

Dazi e Corte Suprema: la partita che può riscrivere il copione

Trump ripete che i dazi sono la leva magica: proteggono l’industria, attirano investimenti e — soprattutto — potrebbero finanziare rimborsi o “dividendi”. Ma proprio sui dazi si avvicina un verdetto che può cambiare la storia.

Il Peterson Institute for International Economics parla di una decisione della Corte Suprema potenzialmente imminente sulla legalità di alcune tariffe imposte invocando poteri d’emergenza. Barron’s ha descritto lo scenario come un rischio concreto per la strategia tariffaria. Nel frattempo, diversi studi legali e analisi raccontano la corsa delle aziende a preservare il diritto a eventuali rimborsi, nel caso in cui la Corte bocci le tariffe.

Qui la politica incontra la contabilità: se una parte delle entrate tariffarie fosse messa in discussione, alcune promesse di “assegni” e “rimborsi” diventerebbero più fragili. Non è un dettaglio tecnico: è narrazione economica.

Il “warrior dividend”: l’assegno simbolico e la polemica sul finanziamento

L’annuncio più scenografico del discorso è il pagamento una tantum da 1.776 dollari per i militari, ribattezzato “warrior dividend”. L’importo è un ammiccamento patriottico all’anno dell’indipendenza americana e, secondo varie ricostruzioni, dovrebbe raggiungere circa 1,45 milioni di membri delle forze armate.

Il punto che ha acceso la miccia è da dove arrivano i soldi. AP e Washington Post sostengono che il finanziamento non derivi direttamente da “nuove” entrate tariffarie, ma da fondi già stanziati dal Congresso, collegati a capitoli di spesa del Pentagono (in particolare voci legate ad alloggi e indennità). In altre parole: più che una pioggia di cash “generata dai dazi”, sarebbe una riallocazione.

Politicamente, però, l’effetto è quello che Trump cerca: un assegno reale, prima delle feste, a una platea altamente simbolica. E un messaggio implicito agli elettori: “Io posso distribuire benefici”, anche mentre chiedo pazienza sul resto.

Sondaggi: il Natale non basta a spegnere l’irritazione

Il contesto del discorso è un dato che alla Casa Bianca conoscono benissimo: la fiducia sull’economia è diventata più fragile. Un sondaggio Fox News che una larga maggioranza valuta negativamente le condizioni economiche e che i prezzi restano la priorità numero uno. Forbes e varie analisi di dicembre registrano un calo o una debolezza nell’approvazione, soprattutto sul tema inflazione.

Da qui l’urgenza narrativa: Trump prova a ribaltare la psicologia collettiva — “state per vedere i risultati” — e contemporaneamente a tenere la coalizione repubblicana compatta verso il 2026. È anche una scommessa sulla memoria: se nel 2026 l’elettore ricorderà l’ansia di oggi o la promessa di ieri.

Politica estera: poche righe, molta autocelebrazione

Nel messaggio natalizio lo spazio per l’estero è stato ridotto al minimo. Alcune cronache riferiscono che Trump ha citato in modo rapido il Medio Oriente e ha rivendicato risultati di pace, senza entrare nei dossier più spinosi.

È una scelta coerente con la serata: non un discorso “di mondo”, ma un discorso “di frigorifero”. E quando il frigorifero costa di più, la geopolitica tende a perdere secondi in scaletta.

Il punto: un presidente che chiede tempo in un Paese che chiede sconti

Il messaggio natalizio di Trump è un esercizio di marketing politico ben confezionato: durata breve, tono combattivo, nemico identificato, promessa forte. Ma il test non è televisivo: è mensile.

Se l’inflazione resterà appiccicosa, se i premi sanitari saliranno con la scadenza dei sussidi e se la Corte Suprema ridisegnerà la cornice dei dazi, il 2026 rischia di diventare l’anno del conto, non del boom. E a quel punto, anche l’albero di Natale più luminoso non basterà a cambiare la domanda che domina tutto: quanto mi costa vivere?

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