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Amarena, siamo tutti colpevoli fino a che non ci ribelliamo a gran voce

- di: Barbara Leone
 
Amarena, siamo tutti colpevoli fino a che non ci ribelliamo a gran voce
L’uomo ha reso la Terra un inferno per gli animali, scrisse Schopenhauer. L’unico pensiero su cui riesco a sintonizzarmi mentre leggo della morte di Amarena, la mamma orsa simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise ma simbolo altresì della convivenza pacifica tra uomo e natura. Amatissima, Amarena era diventata la mascotte gli abitanti di quei territori che incuriositi la osservavano passeggiare tranquilla con i suoi piccoli in mezzo alla gente. Golosissima di frutta e soprattutto di ciliegie, da cui il nome Amarena. Solo pochi giorni fa spopolava in rete un video che la immortalava mentre se ne andava a spasso coi suoi cuccioli nel centro di San Benedetto dei Marsi. Cuccioli che non la rivedranno mai più, perché così ha deciso l’uomo. Uccisa a fuciliate perché, avrebbe detto l’assassino, sentendo dei rumori aveva avuto paura. E dire che era noto a tutti che Amarena non aveva mai fatto male a nessuno. E si fidava a tal punto dell’uomo che aveva insegnato anche a tutti i suoi figli ad essere (fin troppo) confidente. A cominciare da Juan Carrito, anche lui orso star e simbolo della Marsica, ucciso da un automobilista a Castel di Sangro lo scorso gennaio. Nessuno aveva mai avuto paura di lui, così come della sua mamma. Ecco perché risulta alquanto singolare che una persona del posto sia stata colta dal terrore nel vederla al punto da imbracciare il fucile e sparare. Non in aria. Ma boom… uno, due, tre colpi. Forse per esser certo d’averla fatta fuori. Ed è singolare che l’assassino sia un allevatore, titolare di una norcineria e cacciatore. Così com’è singolare che dai primi rilievi pare che l’orsa sia stata ferita a morte sulla schiena.

Fucilata vigliaccamente alle spalle, quindi. Altro che paura! Quest’ennesimo atto di crudeltà gratuita nei confronti degli animali è anche l’esito di una campagna d'odio nei confronti degli orsi partorita in Trentino dove, ricordiamolo, JJ4 è ancora rinchiusa nel Casteller. Una campagna d’odio voluta dagli albergatori e sostenuta, con la complicità della stragrande maggioranza dei media, da una certa classe politica. Basti pensare che, come denuncia l’Enpa, approfittando delle ferie estive Fugatti ha imboscato nella legge di bilancio le norme ammazza-tutti: orsi e lupi in primis. E così nei giorni scorsi, alla faccia della manovra lacrime e sangue che ci aspetta, il ministro Salvini ha ben pensato di portare in Consiglio dei ministri una lettera dei sindaci del Trentino che chiedono al governo centrale un cambio di passo nella gestione dei carnivori, a partire dalla gestione autonoma senza l’impulso di Roma. Che tradotto significa anche poter abbattere gli esemplari pericolosi.

Ed è lo stesso Salvini che si dimena, vivaddio ci mancherebbe, con post sui social contro l’abbandono degli animali pensando anche, vivaddio ancora, di inasprire le pene contro chi commette questo crimine usando anche la sospensione e revoca della patente. Uao, che meraviglia, abbiamo pensato. Sei “bipolare” o che? O solo, ed è assai più probabile, sta sotto scacco di Fugatti. Uno che andrebbe cacciato a calci nel sedere proprio dalla Lega e che invece, per ignoti motivi, non solo sta lì ma è anche osannato e difeso a spada tratta. E dalla spada al fucile è un attimo, eh. La verità è che siamo e saremo tutti un po’ colpevoli, finché tutti gli animali non saranno rispettati e liberi. Finché verranno considerati cose da rimuovere, alla stregua di una macchina in doppia fila. E siamo tutti colpevoli fino a che non ci ribelliamo a gran voce. Anche se a sto giro ho finito lacrime e parole. Resta solo tanto dolore ed un’insopportabile, amarissimo senso di rassegnazione per un mondo ove non c’è più posto per l’amore e per la bellezza. Quest’assassino quasi certamente non pagherà per questo ignobile crimine. Qualche giorno di attenzione mediatica e puff… tutto rientrerà nella cronaca da dimenticare. “Che volete? Vorrete mica fucilarlo?”, dicono in paese. Lui però l’ha fatto…
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