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Caso Almasri, Roma consegna la memoria alla Corte penale internazionale

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Caso Almasri, Roma consegna la memoria alla Corte penale internazionale

Nelle ultime ore utili prima della scadenza della proroga, il governo italiano ha inviato alla Corte penale internazionale la memoria difensiva sul caso Njiiem Almasri, il comandante libico arrestato a Torino e rimpatriato in fretta e furia a gennaio. È l’atto finale di una vicenda che ha messo in imbarazzo i vertici istituzionali e aperto un fronte giudiziario interno, con ricadute sul piano della credibilità internazionale dell’Italia.

Caso Almasri, Roma consegna la memoria alla Corte penale internazionale

La data ultima era fissata per domani, dopo che Roma aveva già ottenuto una proroga successiva alla scadenza originaria del 17 marzo, poi spostata al 22 aprile. Nella memoria si cerca di motivare la scelta di non consegnare Almasri, ricorrendo a giustificazioni di urgenza operativa e sicurezza nazionale. Ma a livello internazionale si tratta di una partita delicata, nella quale l’Italia appare sulla difensiva.

Indagini in Italia, accuse pesanti contro il governo
Sul versante interno, la questione non è meno tesa. Il Tribunale dei ministri di Roma ha aperto un fascicolo d’indagine che coinvolge direttamente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano – anche autorità delegata alla sicurezza della Repubblica – e due ministri: Matteo Piantedosi per l’Interno e Carlo Nordio per la Giustizia. I reati ipotizzati sono gravi: favoreggiamento e peculato per i primi tre, omissione di atti d’ufficio per il Guardasigilli. A far scattare l’indagine è stata la denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti, che ha posto l’accento sull’irregolarità della procedura di rimpatrio. Almasri, secondo la ricostruzione accusatoria, sarebbe stato rispedito in Libia senza che fosse rispettato il principio della cooperazione giudiziaria internazionale, e senza aver esaminato la richiesta della Cpi che lo indicava come soggetto d’interesse in indagini per crimini di guerra.

Un rimpatrio che pesa sull’immagine del governo
La scelta di rimpatriare Almasri, figura controversa e al centro di più dossier su traffici e violenze nei centri di detenzione libici, ha sollevato dubbi non solo giuridici ma politici. In molti, anche all’interno della maggioranza, si interrogano sull’opportunità di un’azione tanto repentina. Perché tanta fretta? Chi ha deciso di bypassare i canali diplomatici? Le opposizioni parlano apertamente di copertura ad accordi sotterranei con gruppi di potere libici, in cambio di controllo dei flussi migratori. Il governo, dal canto suo, continua a sostenere che l’espulsione rientrava nelle prerogative nazionali in materia di sicurezza. Ma in gioco c’è molto di più: la capacità dell’Italia di rispettare impegni sovranazionali e di muoversi secondo lo Stato di diritto anche in contesti ad alta pressione geopolitica.

La Corte penale e il ruolo dell’Europa
La memoria inviata a L’Aia arriva in un contesto di crescente attenzione verso il ruolo dell’Italia nelle relazioni con la Libia. Bruxelles osserva con preoccupazione una politica estera italiana sempre più orientata a gestire il Mediterraneo con logiche bilaterali e interessi economici, anziché secondo principi condivisi. La Cpi, dal canto suo, non ha ancora commentato il contenuto della memoria italiana, ma fonti vicine al tribunale parlano di "elementi insufficienti" a giustificare un simile atto. Il caso Almasri rischia così di diventare un precedente: un test per valutare fino a che punto gli Stati membri siano disposti a rispettare il diritto internazionale quando questo entra in conflitto con interessi di governo.

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