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Mediobanca rilancia al 2028, è sfida aperta a Montepaschi

- di: Bruno Coletta
 
Mediobanca rilancia al 2028, è sfida aperta a Montepaschi

Nagel (foto) aggiorna il piano per contrastare l’assalto di Mps. Intanto Unicredit barcolla sull’ops per Banco Bpm, frenata da Roma e Bruxelles.

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La nuova sfida in Piazzetta Cuccia: Mediobanca guarda al 2028
C’è una data segnata in rosso nell’agenda della finanza italiana: venerdì 28 giugno. Quel giorno Mediobanca, guidata da Alberto Nagel, svelerà ai mercati i nuovi obiettivi strategici al 2028, spingendosi oltre l’orizzonte del piano 2024-2026 approvato appena quattro mesi fa. Un’operazione non solo di chiarezza, ma di posizionamento competitivo: è la risposta diretta all’offensiva di Monte dei Paschi di Siena, che con il piano triennale presentato nell’agosto 2024 e l’annuncio dell’offerta pubblica di scambio su Piazzetta Cuccia ha alzato il livello dello scontro.
Il messaggio di Mediobanca è netto: “non ci faremo trovare impreparati”. La banca intende dimostrare ai propri soci – e agli investitori – di avere una traiettoria autonoma, redditizia e sostenibile, senza dover cedere alle lusinghe senesi. L’ad Alberto Nagel, in carica dal 2008 e riconfermato nell’autunno scorso, ha in programma una conference call con gli analisti che si preannuncia carica di aspettative.

I numeri dello scontro: dividendi, ricavi e payout
Le cifre parlano chiaro. Monte dei Paschi, nella sua proiezione al 2028, ha indicato ricavi per 4,1 miliardi e un utile ante imposte di 1,66 miliardi. Nessun vincolo sui dividendi, ma una promessa implicita: mantenendo un payout al 75%, le cedole complessive tra il 2025 e il 2028 arriverebbero a 4,1 miliardi. Un richiamo potente per i soci di Mediobanca, tra cui i fondi esteri, che guardano con attenzione al rendimento dell’investimento.
Mediobanca, dal canto suo, aveva aggiornato il proprio piano lo scorso febbraio: 4 miliardi di ricavi nel 2026, oltre 1,4 miliardi di utile e un payout prossimo al 100%, con oltre 4 miliardi di distribuzioni totali nel triennio. Ma adesso si spinge oltre: l’intenzione è uniformare le proiezioni a quelle del Monte per offrire una base comparativa chiara, mettendo al centro la solidità del wealth management, l’efficienza operativa e la centralità dei ricavi ricorrenti.
Nagel vuole giocare la partita a carte scoperte, mettendo in campo numeri solidi e verificabili per blindare la governance. La battaglia si combatte non solo sui conti, ma anche sulle strategie e sulla percezione di chi ha il controllo del futuro.
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Unicredit tra Atene, Mosca e Roma: ops e incognite
In questo risiko bancario, l’altro protagonista è Andrea Orcel. L’ad di Unicredit ha ottenuto il via libera dell’Antitrust Ue alla sua ops su Banco Bpm – un’operazione da oltre 10 miliardi – ma il cammino è tutt’altro che in discesa. Ieri, 23 giugno, è ripartita formalmente l’offerta, dopo i 30 giorni di sospensione disposti da Consob, ma le adesioni restano al lumicino: appena lo 0,046%, secondo i dati aggiornati al 21 giugno.
Il vero scoglio è politico. Il governo italiano ha attivato il golden power e imposto condizioni durissime: Unicredit dovrà uscire completamente dalla Russia entro gennaio 2026, mantenere l’occupazione, tutelare la clientela e non dismettere asset chiave per almeno cinque anni. Orcel ha dichiarato: “Mi devono spiegare esattamente cosa vogliono. Senza chiarezza, la probabilità che l’operazione vada avanti è sotto il 20%”.
E non si tratta solo di questioni industriali. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ha dichiarato: “Se qualcuno pensa di impormi una linea diversa, mi dimetto”. L’esecutivo, insomma, considera l’operazione Unicredit-Bpm come una questione di sicurezza nazionale. Il 9 luglio sarà il Tar del Lazio a pronunciarsi sui ricorsi presentati. Nel frattempo, Bruxelles resta in attesa di chiarimenti.
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Grecia, l’altro fronte caldo di Orcel
Mentre in Italia la tensione sale, Orcel si muove su un altro scacchiere. A metà giugno è volato ad Atene, dove ha incontrato il primo ministro Kyriakos Mitsotakis, il governatore della Banca centrale Yannis Stournaras e l’ad di Alpha Bank, Vassilios Psaltis. Unicredit ha recentemente aumentato la propria quota in Alpha dal 9 al 20%, ottenendo il plauso del governo ellenico.
Secondo quanto riportato da Kathimerini, l’obiettivo è rafforzare il ruolo di Unicredit nel mercato bancario del sud-est Europa, sfruttando le sinergie e il consolidamento in atto nel sistema greco. “Una partnership strategica”, ha detto Orcel, che consente al gruppo italiano di diversificare e allontanarsi dalle tensioni domestiche.
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Uno scontro dai mille risvolti: strategie, politica e finanza
Il confronto tra Mediobanca, Mps e Unicredit non è solo una guerra di numeri. È un affondo sul modello di banca da costruire nei prossimi cinque anni. Il Monte, guidato da Luigi Lovaglio, punta al consolidamento e guarda all’integrazione come leva per uscire dall’orbita pubblica. Mediobanca vuole restare indipendente e rilancia su gestione patrimoniale e corporate advisory. Unicredit è sospesa tra l’Europa e le tensioni italiane, frenata dal golden power e dai dossier internazionali.
In questa cornice, il ruolo del governo è centrale. La finanza non è più solo questione di mercato: è diventata tema di sovranità, di controllo politico, di tutela del risparmio nazionale. E Bruxelles osserva con attenzione crescente, per evitare che i paletti italiani si trasformino in precedenti pericolosi.
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E ora?
Nei prossimi 30 giorni si decideranno le sorti di alcune delle maggiori banche italiane. Il 27 giugno si conosceranno i numeri al 2028 di Mediobanca. Il 9 luglio sarà il turno del Tar sul golden power Unicredit-Bpm. Il 23 luglio scade il termine dell’ops. Nel frattempo, Mps prepara la sua offensiva su Piazzetta Cuccia. E il risiko, tra fusioni mancate, minacce di ritiro e trattative parallele, potrebbe riservare ancora molte sorprese.

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