Apple, Google e Amazon minimizzano l’impatto delle tariffe USA, ma Bruxelles accelera su web tax e concorrenza. Tajani: “Non resteremo a guardare”.
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Le Big Tech resistono, ma la frattura transatlantica si allarga
L’aria di guerra commerciale che aleggia tra Washington e Bruxelles ha un bersaglio preciso: i colossi digitali americani. Le Big Tech – Apple, Amazon, Google, Meta e Microsoft – sembrano, almeno per ora, reggere l’urto dei dazi imposti dall’amministrazione Trump a prodotti e servizi europei. I bilanci del primo trimestre 2025 parlano chiaro: +10% nei ricavi aggregati rispetto allo stesso periodo del 2024, con Apple che tocca quota 132 miliardi di dollari, Amazon 143 miliardi e Alphabet (la holding di Google) 85 miliardi.
Ma il fuoco cova sotto la cenere. Dietro le quinte, Bruxelles si prepara alla controffensiva. L’Unione Europea, irritata per l’ennesima prova di unilateralismo americano, ha deciso di reagire. E stavolta il teatro dello scontro è l’economia digitale: da un lato le piattaforme USA, che pagano tasse irrisorie in Europa; dall’altro un continente che reclama equità fiscale e rispetto delle regole sulla concorrenza.
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Tajani e von der Leyen alzano il tono: “Non ci faremo intimidire”
“Non resteremo a guardare mentre le nostre imprese vengono colpite e i nostri cittadini pagano di più per l’arroganza altrui”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani in una conferenza stampa a Bruxelles il 6 maggio. Le sue parole fanno eco a quelle della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ha confermato l’intenzione di introdurre una “web tax europea” in caso di mancato accordo con gli Stati Uniti entro l’estate.
Nel mirino c’è il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA), due strumenti che mirano a regolamentare i comportamenti delle piattaforme dominanti. Se Apple e Meta dovessero essere ritenute colpevoli di violazioni – come l’autopreferenza nei marketplace o l’uso improprio dei dati – scatterebbero multe miliardarie e possibili restrizioni operative.
Il Commissario al Mercato Interno Thierry Breton è stato ancora più diretto: “Le aziende americane hanno avuto campo libero troppo a lungo. Ora basta”.
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Web tax e concorrenza: ecco la vendetta europea
Il piano della Commissione prevede tre pilastri:
1) una tassa del 15% sui ricavi pubblicitari e di e-commerce generati in Europa da Big Tech non residenti;
2) sanzioni contro le piattaforme che violano sistematicamente il DSA;
3) l’attivazione dell’Anti-Coercion Instrument, il meccanismo che permette all’UE di rispondere a pratiche economiche sleali da parte di Paesi terzi.
Il confronto rischia di essere frontale. Secondo fonti interne alla Commissione, Bruxelles starebbe valutando anche un’indagine formale su Amazon Logistics, accusata di eludere le norme europee sul lavoro e sui dati sensibili dei consumatori. In parallelo, l’Antitrust guidato da Margrethe Vestager tiene sotto stretta osservazione le pratiche di Apple nei pagamenti digitali e nel monopolio dell’App Store.
Intanto il Parlamento europeo preme per un’azione rapida. “Non possiamo permettere che le regole del mercato unico vengano dettate da Palo Alto o Seattle”, ha detto l’eurodeputata tedesca Evelyne Gebhardt in plenaria a Strasburgo il 9 maggio.
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Le mosse delle aziende: minimizzare, diversificare, spostare
Dall’altra parte dell’Atlantico, le Big Tech fingono indifferenza, ma stanno già correndo ai ripari. Apple ha accelerato il trasferimento della sua produzione di iPhone da Shenzhen all’India, con l’obiettivo di assemblare oltre il 25% dei dispositivi fuori dalla Cina entro fine 2025. La società di Cupertino ha già speso circa 900 milioni di dollari per ristrutturare la sua supply chain nei primi tre mesi dell’anno, secondo Bloomberg.
Amazon, da parte sua, sta diversificando la logistica europea aprendo nuovi hub in Polonia, Slovacchia e Grecia. L’azienda guidata da Andy Jassy teme che eventuali misure ritorsive colpiscano i servizi Prime, il cloud di AWS e la pubblicità online, che rappresentano ormai oltre il 40% dei ricavi europei.
Google, infine, ha annunciato l’apertura di nuovi centri dati in Finlandia e Spagna, nel tentativo di “localizzare” l’infrastruttura e rassicurare le autorità continentali. Ma l’ombra di un conflitto aperto resta, e potrebbe trasformarsi in un braccio di ferro commerciale in stile WTO.
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I consumatori europei rischiano di pagare il conto
Le conseguenze di questa escalation non si fermano ai tavoli diplomatici. L’analisi di Repubblica dell’8 aprile 2025 mostra che un iPhone 16 Pro Max – attualmente venduto a 1.989 euro – potrebbe superare i 2.800 euro se Trump introducesse dazi del 50% su prodotti assemblati in Asia. Anche altri device come i laptop Apple, i Kindle Amazon e i Google Pixel potrebbero subire rincari del 25-30%.
E non è solo una questione di prezzi. La crescente tensione normativa potrebbe portare alla riduzione di servizi, alla chiusura di marketplace locali o alla frammentazione dell’offerta digitale. Alcuni analisti avvertono del rischio di una “balcanizzazione del web”, con un’Europa sempre più isolata dal flusso globale dell’innovazione.
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Un nuovo equilibrio globale tra tecnologia e geopolitica
Nel contesto di un’America sempre più protezionista e isolazionista sotto la guida di Trump, l’Europa sembra intenzionata a riprendersi un ruolo da protagonista. La crisi con le Big Tech statunitensi potrebbe essere l’occasione per rilanciare il progetto di una sovranità digitale europea, promuovendo startup continentali, rafforzando Gaia-X e accelerando la diffusione dell’intelligenza artificiale “made in EU”.
Ma la sfida è tutt’altro che semplice. I giganti americani restano dominanti: solo Google detiene il 90% delle ricerche online in Europa, Amazon il 38% dell’e-commerce e Meta il 70% del traffico social.
Se Bruxelles saprà tenere il punto senza sacrificare l’innovazione, potrà ridisegnare gli equilibri globali. In caso contrario, rischia di restare schiacciata tra il martello di Washington e l’incudine di Pechino.