Dazi, il fuoco sotto la cenere: l’Europa si prepara alla resa dei conti con gli Stati Uniti
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Le parole sono scelte con cura, le frasi costruite come argini. Michal Baranowski, sottosegretario polacco allo Sviluppo economico, presidente di turno del Consiglio Ue, parla di «prudente ottimismo». Perché qualcosa, forse, si muove. Gli accordi stretti da Washington con Londra e Pechino hanno il sapore del gesto calcolato, una tregua tattica più che una svolta. «Vediamo che gli americani stanno cambiando approccio», dice Baranowski, uscendo dalla riunione del Consiglio Commercio. Ma non c’è l’applauso. Non ancora.
Dazi, il fuoco sotto la cenere: l’Europa si prepara alla resa dei conti con gli Stati Uniti
Maros Sefcovic, il commissario europeo al Commercio, conferma i contatti. Telefona, scrive, ascolta. «Un'altra chiamata costruttiva» con il segretario Usa Howard Lutnick, sms scambiati poco prima della riunione con l’ambasciatore Jamieson Greer. Diplomazia che non cerca titoli, ma appigli. «Intensificheremo il lavoro tecnico», dice Sefcovic. Ma intanto l’Europa tiene il fiato sospeso.
Stati Uniti, se restano lì i dazi saranno un muro
Dietro le parole scivola un’inquietudine sottile. I dazi su acciaio, alluminio, auto “made in Ue” sono stati dimezzati – dal 20% al 10% – ma solo per novanta giorni. E se quella soglia diventasse stabile? Benjamin Dousa, ministro svedese al Commercio, avverte: «Se questi sono i segnali, allora l’Europa deve prepararsi a reagire». L’avvertimento è secco, senza curve: se Washington resta ferma, Bruxelles alzerà la voce. E alzerà anche le tariffe.
Il piano B è già sul tavolo
Le parole si fanno più dure. Baranowski ammette che serve un’alternativa: «Dobbiamo proteggere le imprese, i consumatori europei». Se il negoziato si spezza, serve un piano B. E la Commissione ha già pronta una lista: 95 miliardi di esportazioni americane potrebbero finire nel mirino europeo. Non è una minaccia, giurano. È “riequilibrio”. È “livellare il campo”. Ma il linguaggio è chiaro. E stavolta non ci sarà pazienza infinita.
Acciaio, terre rare e algoritmi: dove si può trattare
Eppure, le crepe possono diventare spiragli. Sefcovic indica tre aree dove si può costruire qualcosa: l’eccesso produttivo nel settore dell’acciaio, le materie prime critiche, le tecnologie sensibili. Qui si può scrivere una pagina comune. Forse. Se gli Stati Uniti vorranno tornare a ragionare in termini di equilibrio. Se non cercheranno solo vantaggi asimmetrici.
Una mappa che cambia: l’Asia e il Golfo nel radar Ue
Intanto, l’Europa si muove altrove. Lontano da Washington, ma non contro. Sefcovic ha aggiornato i ministri sui contatti aperti con India, Indonesia, Malesia, Thailandia, Filippine. Un mosaico nuovo, silenzioso, paziente. E poi ancora: Arabia Saudita, Emirati, Consiglio del Golfo. È la ricerca di nuovi equilibri, nel tempo della fragilità globale. È il segno che l’Europa non aspetterà all’infinito.
Trentasette giorni, tre mesi: il tempo si stringe
Il negoziato ha già percorso trentasette giorni. Ne restano poco meno di novanta. Poi, sarà decisione. O scontro. Per ora, tutto è appeso a uno scambio di messaggi, a una manciata di telefonate, a una promessa sospesa. Ma l’Europa, questa volta, ha la penna in mano. E scrivere non è più solo un esercizio diplomatico. È una questione di peso. E di dignità.