Disastro di Crotone: smettiamola di girarci dell'altra parte e cerchiamo una soluzione

- di: Redazione
 
Mentre il mare non ha ancora finito di restituire i corpi dei migranti morti nella tragedia davanti alle coste crotonesi (non al largo, ma proprio davanti, a poche decine di metri dalla spiaggia di Cutro), è già cominciato il gioco della speculazione e della strumentalizzazione, quasi che la classe politica italiana non aspetti altro che un evento drammatico per scaricarne sugli avversari le responsabilità, dimenticando che anche l'obbligo del soccorso può essere oggetto di manipolazione.

Disastro di Crotone: smettiamola di girarci dell'altra parte e cerchiamo una soluzione

Un gioco in cui gli italiani sono particolarmente maestri, non avvedendosi che cercare di ottenere una ricaduta politica davanti ai cadaveri, molti dei quali di bambini che avevano appena cominciato il cammino della vita, è la sconfitta della politica, quella che non accetta di prendersi le sue responsabilità. Il problema dell'immigrazione irregolare è gigantesco e, purtroppo, talmente complesso che ci fa assistere alla proposta di ''ricette'' che sembrano frutto dell'improvvisazione che non invece di una analisi concreta, che metta da parte le ideologie e, soprattutto, la disperata ricerca di un consenso, facendo sempre temere il ''diverso'', chi arriva e non parla la nostra lingua, ha una religione diversa così come i tratti somatici.

''Diversi'' immediatamente individuabili e che per questo si prestano a campagna di criminalizzazione che, peraltro, non sono campate assolutamente in aria, dal momento che alcuni gruppi etnici o nazionali hanno trovato in Italia terreno fertile per attività criminali particolarmente visibili, come furti e reati legali agli stupefacenti.
Ma questo è un problema, per così dire, successivo allo sbarco sulle nostre coste o all'arrivo nel Nord-Est dalla tratta balcanica, e in ogni caso coinvolge sempre una porzione di immigrati.

Oggi, mentre la contabilità dei morti di Cutro continua, bisogna capire cosa si può fare per arginare un fenomeno che non è solo italiano (nonostante che a qualcuno faccia politicamente comodo affermarlo, a dispetto die numeri ufficiali) e che comunque non può gravare solo sul nostro Paese. Ormai nessuno bada più alla distinzione interna ai migranti, che arrivano qui chiedendo tutti asilo, pure se giungono da regioni che non sembrano vivere condizioni di guerra o nelle quali si esercitano vessazioni ai danni delle minoranze. La cosiddetta immigrazione economica costituisce la maggior parte dei flussi, dal momento che, ad esempio, è ben difficile pensare che Paesi con i quali l'Italia ha normali rapporti e verso i quali non ha mai eccepito ufficialmente il soffocamento delle libertà e quindi della democrazia possano giustificare la concessione dello status di richiedente asilo a chi da essi arriva.

Di esempi ce ne sono parecchi, ma basta pensare all'Egitto e ad altri Paesi del Nord Africa (come Tunisia, Algeria e Marocco) per capire che chi arriva da lì lo fa solo per un futuro economicamente migliore. E non è detto che i Paesi di origine attuino politiche di contrasto realmente efficaci perché il controllo delle coste è quasi inesistente e forse si pensa che le rimesse di chi vive all'estero qualche beneficio lo portano pure. La sola strada che appare, oggi, percorribile, ma anch'essa molto ripida, è quella di ''riportare'' il problema laddove nasce, cioè nei Paesi d'origine dei migranti. Ma, come detto, è una soluzione difficilissima perché, solo per citare uno dei Paesi da dove arrivavano alcuni dei migranti di Cutro, il Pakistan vive oggi una crisi economica a dir poco gravissima e, se essa è la causa della fuga, non c'è alcun piano economico che, aiutando il Paese, possa allentare il peso del fenomeno della migrazione.

Perché spesso, nei luoghi d'origine dei migranti, la pressione della povertà è una concausa, convivendo con un tasso di corruzione che induce a forti dubbi su quale potrebbe essere la fine degli aiuti internazionali finalizzati all'avvio di attività e, quindi, nuovi posti di lavoro. Un problema che sarà irrisolvibile non tanto fino a quando l'Europa non deciderà di farsene carico (cosa certo non imminente, viste le posizioni di alcuni Paesi, a cominciare da quelli dell'Est, che hanno una visione limitata del concetto di coordinamento), ma sino a quando di esso non prenderà coscienza la comunità internazionale con piani mirati e adeguando le rispettive legislazioni alle nuove situazioni.
Magari prevendo un articolo del codice penale che adegui il traffico di essere umani alla strage, che è reato di pericolo e quindi non si traduce necessariamente in perdita di vite. Forse sapere che, nel caso di arresto, si entra in un carcere per non uscirne mai potrebbe essere un deterrente.
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