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Elezioni 2022 - Meloni va alla guerra, ma il nemico è in casa

- di: Diego Minuti
 
Elezioni 2022 - Meloni va alla guerra, ma il nemico è in casa
Strana cosa la politica: ci si pone un obiettivo, lo si persegue con determinazione, addirittura con ferocia, e poi, quando lo si ha a portata di mano, ci si accorge che forse si è ancora a metà del cammino, e non sempre per colpe proprie. Se ne sta forse accorgendo Giorgia Meloni, che, come un ciclista provetto, sta affrontando le ultime rampe prima del traguardo, ma, voltandosi, si accorge di essere rimasto sola perché i gregari si sono staccati e non certo perché non ce la fanno a starle dietro.

Giorgia Meloni si avvicina al voto ma deve guardarsi dai nemici "in casa"

A rifletterci, conoscendo quanto l'Uomo si nutra di ambizioni, non appare strano che il fatto che i sondaggi, compatti, le diano percentuali ormai intorno al 25 per cento, piuttosto che rinsaldare la coalizione intorno alla sua leadership, stanno rialimentando i contrasti che solo apparentemente apparivano come messi da parte nel comune interesse di vincere. Non può essere una coincidenza che ormai, pur marciando apparentemente verso l'obiettivo di spazzare gli avversari, i tre partiti maggiori della coalizione di centro-destra sembrano cercare argomenti divisivi non più col ''nemico'', ma tra di loro.

Tutto ormai si manifesta come occasione per marcare differenze, con distinguo che sono sostanziali e non più semplici sfumature, come appariva all'inizio della campagna elettorale.
I temi ''non condivisi'' (una formulazione che cerca solo di minimizzare le diversità dei punti di vista) rischiano di non contarsi più perché la campagna elettorale, anche se nasce con le migliori intenzioni, ovvero essere realistica e ponderata, troppo spesso, anzi sempre prende la mano. Altrimenti non si spiegherebbero le quotidiane fughe in avanti in ogni materia su cui, sparandola grossa, si spera di raccattare qualche voto in più. Anche perché, nel lessico quotidiano dei politici, entrano argomenti che da anni non hanno più albergo nella testa degli italiani, come il servizio di leva obbligatorio, che Matteo Salvini promette di ripristinare come scuola di formazione della classe dirigente del domani.

Ma sono ben altri gli argomenti sui quali la coalizione sembra proprio non potere trovare un accordo.
Come l'azione di contrasto all'immigrazione irregolare, che Salvini ritiene di potere bloccare anche solo ridando efficacia di suoi decreti sicurezza, mentre per Giorgia Meloni non può essere fermata che con un blocco navale, da attuare in accordo con le autorità dei Paesi nordafricani interessati al fenomeno. Cosa oggi, a dire il vero, leggermente complicata, almeno per la Libia, ad un passo dall'implosione (e non solo in senso figurato).

L'ultimo argomento che vede una netta divisione tra le tre principali formazioni del centro-destra è l'ipotesi di uno scostamento di bilancio da trenta miliardi per dare al governo gli strumenti per combattere le fiammate dell'inflazione e il lievitare della bolletta energetica.
La proposta - spinta da Salvini e quindi sostenuta anche da Tajani - è stata invece respinta da Fratelli d'Italia. Il perché lo spiega Marcello Sorgi, in modo chiaro dicendo che, pur se si tratta di ''cifre da campagna elettorale, senza riferimento con la realtà dei conti pubblici'', la ''mossa della Meloni vuol dire chiaramente che, schierata con il presidente del consiglio e prendendo le distanze dagli altri leader del centrodestra, è disposta a rinunciare a un argomento di propaganda, e ai voti che potrebbe eventualmente portare, pur di darsi un'identità credibile da futura premier di un Paese con i problemi dell'Italia''.

Non stiamo parlando di traumatiche divisioni tra alleati, ma certamente Giorgia Meloni vuole marcare una distanza tra le posizioni sue e di Fratelli d'Italia da quelle di Salvini e Berlusconi, che ormai sono in modalità quotidiana ''ti prometto il mondo e l'universo''. Ma sarà ben difficile ribaltare la realtà che vede FdI destinata ad avere una maggioranza talmente schiacciante da consentirgli di sedersi al tavolo delle trattative del post-voto (ovvero, quello dove si decidono nomi e destinazioni) da una posizione di forza tale da potersi permettere tutto o quasi.
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