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Gerusalemme, Rubio con Netanyahu: Doha accusa e minaccia

- di: Bruno Legni
 
Gerusalemme, Rubio con Netanyahu: Doha accusa e minaccia
Gerusalemme, Rubio con Netanyahu: Doha accusa e minaccia
Tra preghiere al Muro e moniti arabi, il raid su Doha accende un fronte diplomatico che corre parallelo alla guerra. La visita del segretario di Stato USA a Gerusalemme diventa messaggio politico mentre cresce la pressione all’ONU per lo Stato palestinese.

Il conflitto israelo-palestinese entra in una fase in cui la battaglia militare e quella diplomatica si alimentano a vicenda. L’attacco a Doha contro esponenti di Hamas, la reazione furente del Qatar, la tappa di Marco Rubio a Gerusalemme e il dibattito in Assemblea generale sull’ingresso della Palestina come Stato creano un campo magnetico di alleanze e contraccolpi che coinvolge tutta la regione.

Il raid che ha scosso la mediazione

Il colpo inferto a Doha ha incrinato la fiducia verso una mediazione finora centrale tra le parti. Per Israele, l’operazione è stata presentata come azione preventiva per disarticolare la catena di comando di Hamas; per Doha, è stata una violazione della sovranità che mette a rischio ogni progresso negoziale.

Il messaggio che trapela è doppio: da un lato l’urgenza di neutralizzare minacce anche oltre confine; dall’altro la rivendicazione qatariota di un ruolo che non può essere aggirato con la forza. In mezzo, la comunità internazionale che teme un effetto domino sugli equilibri regionali.

Gesto simbolico a Gerusalemme

La visita di Marco Rubio al Muro del Pianto con Benjamin Netanyahu ha una forte carica simbolica. È la rappresentazione plastica di un’alleanza che il premier israeliano descrive come “più solida che mai”. Il gesto, però, non cancella le frizioni: a Washington c’è chi teme che mosse unilaterali possano logorare gli Accordi di Abramo e innescare nuove ritorsioni.

Nel colloquio privato, secondo quanto filtra da ambienti americani, è emerso che l’amministrazione potrebbe non ostacolare ipotesi di annessioni mirate in Cisgiordania, qualora maturasse in parallelo un riconoscimento formale dello Stato palestinese da parte di più capitali occidentali. Una prospettiva che riaprirebbe dossier esplosivi e metterebbe a dura prova la normalizzazione.

La risposta araba prende forma

A Doha i ministri di numerosi Paesi arabi e islamici discutono una linea comune: niente avventure militari, ma una condanna politica severa e una possibile stretta di misure diplomatiche e sanzioni. L’obiettivo dichiarato è far pagare un prezzo alla violazione della sovranità qatariota, mantenendo al tempo stesso in vita i canali per fermare la guerra.

Il primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, ha attaccato a viso aperto Israele. “Un raid così, nel mezzo di negoziati ufficiali, è un precedente pericoloso”, ha detto, chiedendo azioni concrete contro chi mina la mediazione. Ha poi aggiunto: “Continueremo a lavorare per una tregua, ma non accetteremo doppi standard”.

All’ONU il nodo del riconoscimento

All’Assemblea generale si affaccia una risoluzione per lo Stato palestinese. La spinta è alimentata dal sospetto, riemerso con forza a seguito del raid, di misure asimmetriche nei confronti di Israele e Palestina. Se passasse, aumenterebbero la pressione su Gerusalemme e le tensioni con i partner che hanno puntato sulla normalizzazione regionale.

Gaza resta una polveriera

Intanto sul terreno l’IDF mantiene un ritmo alto di operazioni e prepara una fase definita “cruciale”, mentre migliaia di civili continuano a spostarsi dalle aree più colpite. I comandi militari stimano che un’eventuale offensiva di terra prolungata avrebbe impatti umanitari difficili da contenere e una durata non breve.

Diplomazia sotto assedio

Il raid a Doha è un terremoto geopolitico: erode la fiducia nella mediazione, mette alla prova gli alleati occidentali e offre ai critici la sponda per parlare di doppio standard. Israele insiste sulla sicurezza nazionale e sull’obbligo di colpire i centri di comando nemici, anche all’estero. Il Qatar reclama il rispetto delle regole e della neutralità del facilitatore. Gli Stati Uniti cercano l’equilibrio tra sostegno all’alleato e gestione del rischio regionale.

La pace, qui, non è un evento ma un equilibrio precario. Ogni gesto ha un effetto amplificato: un colpo di scena a Doha può ribaltare i calcoli a Gerusalemme, irrigidire gli arabi e spaccare i fronti occidentali. In questo contesto, la visita di Rubio è più che protocollo: è una scommessa sulla capacità di tenere insieme deterrenza e diplomazia. Riuscirà? Dipende da quanta fiducia residua resta tra attori che oggi, più che parlarsi, si misurano. 

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