L’export agroalimentare italiano segna un nuovo massimo storico nel 2024, raggiungendo i 69,1 miliardi di euro, con una crescita dell’8% rispetto all’anno precedente. Un risultato in netta controtendenza rispetto alla flessione generale del commercio estero (-0,4%) e che consolida il ruolo dell’Italia come protagonista nei mercati globali del food & beverage.
Export agroalimentare: record storico a 69 miliardi, ma pesa la contraffazione
Secondo i dati Istat elaborati da Coldiretti, il settore chiude l’anno con una bilancia commerciale in positivo per oltre un miliardo di euro, trainata dalle ottime performance di prodotti simbolo del Made in Italy, a partire dal vino, che si conferma il bene agroalimentare più esportato. Seguono l’ortofrutta trasformata, i formaggi, la pasta e altri derivati dai cereali, oltre a frutta e verdura fresche, salumi e olio d’oliva.
Germania e USA, motori dell’export
La Germania si conferma il principale mercato di sbocco per il cibo italiano con un valore di 10,6 miliardi di euro (+6%), mentre gli Stati Uniti si affermano come il primo mercato extra-UE con un +17% su base annua, per un totale di 7,8 miliardi di euro. Seguono Francia, Regno Unito e Spagna, in un quadro che evidenzia la crescente domanda globale di prodotti alimentari italiani.
Un successo che è il frutto di una filiera produttiva composta da 4 milioni di lavoratori, distribuiti tra 740mila aziende agricole e 70mila industrie alimentari, un comparto chiave dell’export nazionale che punta all’obiettivo ambizioso di raggiungere i 100 miliardi di euro di vendite all’estero entro il 2030.
Freni alla crescita: carenze infrastrutturali e contraffazione
Nonostante le ottime performance, il settore agroalimentare deve fare i conti con alcune criticità strutturali. Le carenze infrastrutturali italiane costano circa 9 miliardi di euro di mancate esportazioni, secondo il Centro Studi Divulga. Porti, logistica e collegamenti intermodali rimangono un nodo strategico da sciogliere per consolidare la crescita del comparto.
Ma il problema più rilevante è la contraffazione internazionale, che oggi vale 120 miliardi di euro, quasi il doppio del valore dell’export autentico. Un fenomeno alimentato da prodotti che richiamano la tradizione italiana senza rispettarne le caratteristiche distintive, e che si espande a causa di accordi commerciali UE che non sempre garantiscono il principio di reciprocità nelle tutele dei prodotti a denominazione d’origine.
Etichette allarmistiche e concorrenza normativa
A complicare il quadro, Coldiretti segnala il rischio rappresentato dalle proposte della Commissione UE di introdurre etichette con avvisi allarmistici su determinati alimenti, un’ipotesi che potrebbe penalizzare alcuni dei settori più rappresentativi del Made in Italy, a partire dal vino e dai formaggi stagionati.
Per mantenere la competitività dell’export, oltre agli investimenti in infrastrutture e digitalizzazione della filiera, sarà cruciale rafforzare la tutela dei marchi italiani nel mondo, contrastare il fenomeno dell’Italian Sounding e garantire condizioni di mercato eque nei trattati commerciali internazionali.
Il settore agroalimentare si conferma dunque un motore dell’economia italiana, ma per centrare il traguardo dei 100 miliardi di export entro il 2030, sarà fondamentale un’azione sinergica tra istituzioni e imprese per superare i limiti attuali e consolidare la presenza del Made in Italy sui mercati globali.