La tregua firmata appena ieri al Cairo resiste a fatica. Dopo settimane di guerra e trattative estenuanti, la promessa di silenzio sulle armi a Gaza si è incrinata già alle prime ore. Israele accusa Hamas di non aver rispettato gli impegni previsti dall’accordo; i miliziani rispondono con una contabilità di morte: 44 palestinesi uccisi nelle ultime ventiquattro ore, nonostante il cessate il fuoco.
Gaza, tregua già in bilico: Israele accusa Hamas, Trump minaccia “violenza veloce”
L’intesa, mediata dal presidente americano Donald Trump e firmata alla presenza di diversi leader internazionali, doveva segnare l’inizio di una nuova fase. Ma la fiducia si è dissolta in fretta, sotto il peso delle reciproche accuse.
I corpi restituiti
Hamas ha consegnato quattro salme di ostaggi israeliani, due delle quali già identificate. Le altre quattro, promesse per domani, restano al centro della tensione. Israele sostiene che la mancata restituzione completa rappresenti una violazione sostanziale dell’accordo.
Al valico di Rafah, la consegna è avvenuta in silenzio, sotto il controllo di funzionari egiziani. Per Tel Aviv è un passo insufficiente; per Hamas, una “prova di buona volontà” ostacolata dalle incursioni israeliane.
Nei campi profughi di Gaza City, intanto, l’aria è satura di polvere e sospetto. I droni israeliani non si sono mai davvero allontanati dal cielo, e gli abitanti parlano di una tregua “di nome, non di fatto”. I convogli umanitari avanzano a singhiozzo, fermati da controlli e mancanza di garanzie.
Trump e Netanyahu, la linea dura
Da Washington, Trump ha scelto toni da ultimatum: “Se Hamas non consegna le armi, ci penseremo noi, velocemente e con violenza.” Un linguaggio diretto, che lascia poco spazio alla diplomazia.
Poche ore dopo, da Gerusalemme, Benjamin Netanyahu ha rilanciato: “Se Hamas non accetterà di disarmarsi, si scatenerà l’inferno.”
Parole che spingono la tregua verso un equilibrio sempre più fragile. L’apparente calma sul fronte nasconde un’escalation pronta a ripartire, con eserciti schierati e delegazioni diplomatiche che cercano di salvare l’intesa prima che crolli definitivamente.
Le condanne di Abu Mazen
Dalla Cisgiordania, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen ha condannato le “esecuzioni sommarie e arbitrarie” compiute da Hamas nelle ultime settimane, definendole “atti che tradiscono il popolo palestinese e minano ogni prospettiva di pace”.
Le sue parole aprono un nuovo fronte interno: quello del conflitto politico tra le due anime palestinesi, una spaccatura che l’accordo di tregua avrebbe dovuto almeno attenuare, ma che oggi appare ancora più profonda.
La tregua come illusione
L’intesa egiziana prevedeva la restituzione progressiva di ostaggi e corpi, la sospensione degli attacchi e l’apertura di corridoi umanitari. Ma la realtà sul campo mostra una tregua fragile, quasi simbolica.
A Gaza, il rumore dei generatori copre quello delle esplosioni lontane. Le famiglie si muovono tra le macerie, cercando acqua e medicine, mentre il confine con Israele rimane chiuso.
Ogni ora di calma sembra un intervallo concesso prima della prossima sirena.
La tregua, almeno per ora, è più un’idea che un fatto: un equilibrio instabile sospeso tra la diplomazia delle parole e la logica della forza.