(Foto: giovani ospiti alla Fiera di Roma in attesa di partecipare alla veglia del Giubileo dei giovani).
A Roma le case si spalancano, i cuori si allargano
Roma non ha solo ospitato il Giubileo dei giovani. Roma lo ha abitato, vissuto, condiviso. Nelle giornate tra il 28 luglio e il 3 agosto, la capitale è diventata un laboratorio vivente di umanità: circa un milione e mezzo di pellegrini, di cui oltre un milione di giovani da 146 Paesi, hanno invaso pacificamente la città, trovando ospitalità nelle case dei romani.
Una scena impensabile in tempi segnati da paure e chiusure. E invece, migliaia di famiglie hanno aperto le porte: salotti trasformati in dormitori, cucine in mense improvvisate, terrazze in spazi di condivisione. “È la Roma che ci piace raccontare”, ha detto il sindaco Roberto Gualtieri il 2 agosto. “Una città viva, accogliente, capace di abbracciare il mondo anche quando ci si presenta in tutta la sua fragilità”.
Il Giubileo vissuto in famiglia
I numeri parlano chiaro: oltre 20.000 famiglie hanno offerto ospitalità privata, alle quali si aggiungono parrocchie, scuole e strutture religiose. Un’organizzazione imponente, coordinata dalla Diocesi di Roma e sostenuta dalla Protezione civile, ha reso possibile una convivenza senza precedenti.
Le testimonianze si rincorrono. Una signora di Centocelle racconta: “Abbiamo accolto quattro ragazze del Guatemala. Ormai sono come figlie”. Una famiglia del Tuscolano: “Abbiamo tirato fuori i letti a castello dei figli ormai grandi. Casa nostra non era così piena da anni”.
L’umanità dei giovani e la Roma dell’accoglienza
Nel frattempo, la città viveva una festa globale. Nei pressi del Vaticano e a Tor Vergata, si sono incrociati canti coreani, danze africane, chitarre brasiliane, preghiere silenziose dei giovani dell’Est. Presenti anche gruppi di rifugiati da Libia, Sudan, Siria, Iraq, Libano e Myanmar. “Pregare qui è una forma di resistenza. Un atto di speranza radicale”, ha spiegato padre Antoine Alan, missionario a Lampedusa.
Tra i più applauditi, il gruppo di giovani provenienti da Aleppo, guidato da frate Jhonny Jallouf: “La guerra non ci ha impedito di essere qui. Anzi, è per questo che siamo venuti: perché vogliamo imparare a ricostruire”.
Il Papa a Tor Vergata: “Non diventate oggetti del web”
Il momento culminante è stata la veglia del 2 agosto a Tor Vergata, con la partecipazione di oltre un milione di giovani. Papa Leone XIV, atterrato in elicottero, ha percorso il campo in papamobile, tra bandiere, cori e lacrime di commozione. Sul palco, ha portato la Croce del Giubileo insieme a duecento giovani, prima di presiedere l’adorazione eucaristica.
Nel suo discorso, ha risposto a tre domande dei giovani: “L’amicizia può davvero cambiare il mondo. Non restate soli, non restate online. Siate radicali nell’amore”. E ancora: “Oggi c’è il rischio che il web trasformi le persone in oggetti. Siate invece luce. Studiate, lavorate, amate”. La serata si è chiusa con il canto del Magnificat eseguito da Il Volo, seguito da un lungo silenzio corale sotto le stelle.
La prova della città: caldo, traffico, emozione
Nonostante i picchi di caldo — con temperature fino a 32 gradi — Roma ha retto. La macchina organizzativa ha distribuito milioni di bottiglie d’acqua, attivato cannoni nebulizzatori e garantito assistenza sanitaria continua. Alcuni disagi: code chilometriche sulle tangenziali, 750 pullman fermi nei parcheggi, lunghi controlli ai varchi. Ma lo spirito di accoglienza ha prevalso.
Il Papa ha voluto ricordare durante la veglia le due giovani decedute per malore nei giorni precedenti, chiedendo una preghiera collettiva in loro memoria. La sicurezza è stata garantita da 4.000 agenti tra polizia, carabinieri e volontari della Gendarmeria vaticana, con un coordinamento che ha impressionato anche la stampa estera.
Un evento che cambia la narrazione di Roma
Non è stato un semplice raduno giovanile. È stata una trasfigurazione urbana e spirituale. Roma non è apparsa stanca o cinica, ma madre, sorella, compagna. Per una volta, ha smesso di lamentarsi e ha fatto spazio. Ai giovani, ai pellegrini, alla differenza.
Un insegnamento anche per il futuro: accogliere non è solo carità, è politica. È visione. E quando una città spalanca le porte delle case, qualcosa si muove anche nei palazzi. Forse questo Giubileo ci dice che la speranza — in tempo di guerre, crisi e individualismo — può ancora passare da una tavola apparecchiata, da un divano condiviso, da una porta lasciata socchiusa.