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Europa e GB contro Israele: stop agli accordi, sanzioni e accuse

- di: Vittorio Massi
 
Europa e GB contro Israele: stop agli accordi, sanzioni e accuse
Londra e Bruxelles guidano la pressione su Netanyahu: congelati i negoziati commerciali, sanzioni ai coloni e revisione dei rapporti UE-Israele.
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Londra rompe con Netanyahu (foto): “Gaza, un abominio morale”
È una frattura diplomatica senza precedenti quella che si consuma tra Israele e i suoi storici alleati occidentali. Il governo britannico guidato da Keir Starmer ha impresso una svolta radicale nella politica estera del Regno Unito: sospensione dei negoziati per un accordo di libero scambio con Israele, sanzioni mirate contro i coloni estremisti responsabili delle violenze in Cisgiordania, e un duro atto d'accusa contro l'operato del governo Netanyahu a Gaza.
“Non possiamo restare a guardare mentre si nega il diritto a vivere a milioni di civili”, ha dichiarato il ministro degli Esteri David Lammy alla Camera dei Comuni, definendo “moralmente ripugnante” il blocco umanitario imposto da Israele. “Il mondo osserva, e la storia giudicherà”, ha ammonito, dopo aver convocato l’ambasciatrice israeliana Tzipi Hotovely per chiarimenti.
Il Regno Unito ha annunciato sanzioni contro tre figure simbolo del movimento dei coloni: Zohar Sabah, Harel David Libi e Daniella Weiss – tutti protagonisti del controverso documentario “Settlers” di Louis Theroux, accusati di fomentare occupazioni illegali e atti di violenza sistematica verso la popolazione palestinese.

Bruxelles segue a ruota: verso lo stop alla cooperazione commerciale
Nel cuore dell’Europa, la svolta britannica ha avuto un effetto domino. A Bruxelles, una “forte maggioranza” dei 27 Stati membri dell’Unione europea si è detta favorevole a rivedere i rapporti con Israele. È stato l’Alto rappresentante per la politica estera Kaja Kallas a darne l’annuncio, spiegando che i Paesi favorevoli – tra cui Francia, Spagna, Irlanda, Slovenia e Paesi Bassi – intendono attivare l’articolo 2 dell’Accordo di associazione Ue-Israele, vincolato al rispetto dei diritti umani.
Non si tratta (ancora) di una sospensione del trattato, firmato nel 2000 e base di scambi per oltre 46 miliardi di euro l’anno, ma di un “congelamento del piano d’azione, come ha specificato la stessa Kallas. “Non possiamo più fingere che si tratti di una crisi passeggera. Gli aiuti autorizzati finora da Israele sono una goccia nell’oceano rispetto alla fame e al disastro umanitario a Gaza”, ha dichiarato, parlando di “situazione catastrofica”.
Ad appoggiare l’iniziativa anche la commissaria europea per il Mediterraneo Dubravka Šuica, che ha annunciato lo stanziamento immediato di 82 milioni di euro a favore dell’UNRWA, per garantire istruzione e sanità nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, parte del più ampio pacchetto da 1,6 miliardi destinato all’Autorità nazionale palestinese fino al 2027.

Roma e Berlino si sfilano: tensioni interne all’Ue
Ma il fronte europeo non è compatto. Italia e Germania – insieme ad Austria, Ungheria e Repubblica Ceca – hanno espresso forti perplessità. A Roma, il governo Meloni ha parlato di “necessità di equilibrio” e ha sottolineato l’importanza del ruolo strategico di Israele nel Mediterraneo. Berlino, storicamente cauta per ragioni storiche e geopolitiche, ha espresso “rispetto per le preoccupazioni umanitarie”, ma si è detta contraria a misure che possano “minare il dialogo diretto”.

Israele: “Ossessione anti-israeliana, non ci piegheremo”
La reazione del governo Netanyahu, che può fare la voce grossa grazie alla copertura che gli offre l'America di Trump, non si è fatta attendere. Il ministero degli Esteri israeliano ha accusato Londra e Bruxelles di “ossessione anti-israeliana” e ha rigettato al mittente ogni ipotesi di revisione del proprio operato. “Il mandato britannico in Israele è terminato da 77 anni. Nessuna pressione esterna ci farà deviare dalla nostra strada”, si legge in una nota ufficiale.
Il premier Benyamin Netanyahu ha parlato di “un’aggressione diplomatica motivata da interessi politici interni”, aggiungendo che Israele “continuerà a combattere il terrorismo di Hamas e a garantire la sicurezza dei propri cittadini, con o senza l’appoggio dei suoi alleati storici”.

Frattura storica o svolta geopolitica?
È la prima volta dal 2008 – quando l’operazione “Piombo fuso” provocò reazioni internazionali indignate – che l’Occidente si muove con tale compattezza contro Israele. A pesare è la portata della crisi umanitaria a Gaza: oltre 53.000 morti in sette mesi, secondo fonti Onu, e una popolazione civile allo stremo, senza accesso regolare a cibo, acqua o cure sanitarie.
Il quotidiano francese Le Monde ha parlato di “rottura epocale” tra Israele e l’Occidente democratico, mentre il New York Times ha sottolineato che “il governo Netanyahu rischia un isolamento internazionale senza precedenti, proprio mentre la Corte penale internazionale valuta possibili incriminazioni”.
Anche il Congresso Usa è spaccato. Se l’amministrazione Trump continua a offrire sostegno “in nome della sicurezza di Israele”, sempre più voci tra i democratici, da Alexandria Ocasio-Cortez a Bernie Sanders, chiedono un taglio agli aiuti militari. “Non possiamo essere complici del genocidio di Gaza”, ha dichiarato Sanders a una manifestazione a Boston.
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Uno spartiacque per la politica estera occidentale
Il gelo tra Israele e i suoi alleati occidentali potrebbe rappresentare un punto di svolta nella politica estera globale. L’Occidente, tradizionalmente legato a doppio filo a Tel Aviv, sembra ora disposto a subordinare le relazioni economiche e strategiche al rispetto dei diritti umani. Non per idealismo, ma per necessità geopolitica: in un mondo frammentato, con la Cina sempre più attiva nella regione, la tenuta morale e politica delle democrazie diventa anche un fattore di credibilità internazionale.
Se la frattura si allargherà, come temono gli ambienti diplomatici a Bruxelles, Israele rischia di trovarsi sempre più isolato, anche sul piano commerciale. E con il conflitto che non accenna a fermarsi, il futuro delle relazioni tra Gerusalemme e l’Occidente non è mai stato così incerto.

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