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Trump e Israele colpiscono l’Iran: nucleare azzerato, pace in bilico

- di: Jole Rosati
 
Trump e Israele colpiscono l’Iran: nucleare azzerato, pace in bilico
Attacchi congiunti su Fordow, Natanz e Isfahan. L’Onu teme la catastrofe: “Escalation pericolosa”, Teheran promette vendetta. È un bivio per il Medio Oriente. Gli Stati Uniti di nuovo in guerra.
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Tre colpi chirurgici, un messaggio planetario
“Abbiamo distrutto i principali siti nucleari dell’Iran. Missione compiuta”. Così, con tono trionfante, Donald Trump ha annunciato su Truth Social nella mattina del 22 giugno il raid che potrebbe riscrivere gli equilibri di potere nel Medio Oriente e, forse, nel mondo. L’attacco – portato con missili Tomahawk e bombe bunker-buster GBU-57 su Fordow, Natanz e Isfahan – è avvenuto con il pieno supporto logistico e strategico di Israele. I bombardamenti sono stati compiuti da B-2 Spirit partiti dalla base di Whiteman, Missouri, e da sottomarini americani nel Golfo (CNN, 22 giugno).
Gli impianti presi di mira erano stati evacuati da giorni, secondo l’agenzia iraniana Mehr. Ma non è questo il punto. L’operazione segna il ritorno dell’America trumpiana sulla scena globale con la forza bruta e il messaggio è chiaro: la diplomazia è finita, ora comanda il deterrente.
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Teheran ferita e furiosa
La reazione iraniana non si è fatta attendere. Il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha denunciato una “palese violazione della Carta dell’Onu e del diritto internazionale”. Il presidente Masoud Pezeshkian ha chiamato il suo omologo egiziano Al-Sisi assicurando che “l’Iran vuole la pace, ma se l’aggressione continuerà risponderemo con decisione”.
Nel frattempo, decine di missili balistici sono stati lanciati verso Israele colpendo Haifa, Gerusalemme e Tel Aviv. Le sirene non hanno funzionato ovunque e ci sono stati danni gravi, come confermato dal portale israeliano Ynet. È iniziata la guerra dei cieli.
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La diplomazia sotto assedio
“Il rischio di un conflitto fuori controllo è concreto e catastrofico”, ha avvertito il Segretario generale dell’Onu António Guterres. “Questo è un momento storico”, ha risposto Trump poche ore dopo, ignorando ogni appello al dialogo. In realtà, come riportato dalla CBS, gli Stati Uniti hanno informalmente fatto sapere all’Iran di non voler cambiare regime, né pianificare nuovi attacchi. È un messaggio ambiguo, soprattutto per un leader che ha già evocato “attacchi futuri molto più grandi se non faranno la pace”.
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Israele: alleanza totale con Washington
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha seguito l’operazione da un bunker, secondo quanto riportato da Axios, insieme al “gabinetto di guerra”. È stato avvisato in anticipo da Trump, che lo ha contattato poche ore prima del blitz. Per Tel Aviv, che da mesi denuncia un’accelerazione del programma nucleare iraniano, l’attacco è una vittoria simbolica e strategica: non solo ha spazzato via le infrastrutture più sensibili, ma ha costretto gli Stati Uniti a una partecipazione militare diretta. Mai, dal 2020, un presidente americano aveva ordinato un’operazione così vasta contro Teheran.
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Dentro i bunker: la tecnologia dell’ombra
I dettagli tecnici sono impressionanti. Secondo Fox News, sull’impianto sotterraneo di Fordow sono state sganciate sei GBU-57, ognuna da 13 tonnellate. Le immagini satellitari della Nasa (Firms, 22 giugno) avevano segnalato una “significativa generazione di calore” nella zona poco prima dell’annuncio ufficiale. Gli altri impianti, a Natanz e Isfahan, sono stati colpiti da una combinazione di missili a lungo raggio e droni stealth in volo coordinato. La valutazione americana è netta: l’infrastruttura iraniana per l’arricchimento dell’uranio è stata “neutralizzata”.
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Una nuova guerra o una nuova tregua?
La vera domanda è: cosa accadrà adesso? Trump sostiene di voler riportare l’Iran “al tavolo negoziale”, ma le sue parole lasciano intendere una minaccia più che un’offerta. L’attacco ha già provocato almeno 25 vittime in Israele a causa delle ritorsioni missilistiche iraniane (Times of Israel, 22 giugno). Le ambasciate statunitensi hanno iniziato l’evacuazione volontaria dei cittadini americani da Israele e Cisgiordania. Il Pentagono ha alzato lo stato d’allerta in tutte le basi del Golfo. E Teheran – pur colpita – non ha perso la voce.
L’ayatollah Ali Khamenei, secondo alcune fonti iraniane citate dalla Reuters, si troverebbe in un bunker segreto protetto da milizie scelte. I Guardiani della Rivoluzione, sul loro account ufficiale X, hanno scritto: “La guerra è iniziata”.
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I numeri della crisi
3 siti nucleari colpiti: Fordow (sotterraneo), Natanz (impianto avanzato), Isfahan (centro di conversione)
30 missili Tomahawk e 6 bombe GBU-57 impiegate (Fox News, 22 giugno)
25 vittime in Israele per ritorsioni iraniane (Times of Israel)
0 contaminazione radioattiva rilevata finora (Organizzazione energia atomica iraniana)
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Il Congresso e l’ombra dell’incostituzionalità
Non tutti negli Usa applaudono. Il senatore Bernie Sanders ha dichiarato in un comizio a Tulsa: “L’attacco è gravemente incostituzionale. Solo il Congresso può portare il Paese in guerra”. Anche il deputato Repubblicano Thomas Massie ha definito l’azione “una violazione dei poteri costituzionali”. Ma Trump ha scelto di ignorare: si è presentato alla Casa Bianca nella notte, ha convocato la National Security Council e annunciato: “Solo il tempo dirà se abbiamo fatto la cosa giusta”.
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Un orizzonte minaccioso
Quello che è certo è che il mondo ha superato un nuovo punto di non ritorno. Gli impianti nucleari iraniani sono stati messi fuori gioco, ma il prezzo politico e umano si annuncia altissimo. L’Onu teme la catastrofe. Il Medio Oriente brucia. Gli Stati Uniti sono di nuovo in guerra, anche se nessuno la chiama così. E il futuro si fa buio, a meno che diplomazia e prudenza non riescano a rientrare, di prepotenza, dalla finestra.

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