Export ed energia: il 9,8% di Made in Italy a rischio per il conflitto
- di: Vittorio Massi

Ufficio Studi di Confartigianato: La dipendenza per il 40,7% dell’energia importata e il 9,8% dell’export verso aree calde: serve strategia e resilienza.
Esportazioni e gas, la morsa dei conflitti
I missili che nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2025 hanno attraversato il cielo tra Teheran e Tel Aviv non sono solo l’ennesimo capitolo di un’escalation militare nel Medio Oriente. Per l’Italia rappresentano una minaccia concreta, economica e strategica. Secondo i dati elaborati da Confartigianato su base Istat, ben 61,4 miliardi di euro di export italiano — il 9,8% del totale — è diretto verso Paesi che oggi sono direttamente coinvolti o toccati da tensioni belliche. E sul fronte energetico, la dipendenza italiana da queste stesse aree — in particolare Medio Oriente, Nord Africa, Caucaso e Asia meridionale — vale il 40,7% delle importazioni complessive di energia dall’estero.
Si tratta di cifre impressionanti. In dodici mesi (da aprile 2024 a marzo 2025) l’Italia ha importato da questi Paesi 13,2 miliardi di euro di petrolio greggio, una somma pari a oltre la metà del nostro approvvigionamento totale di petrolio. A questi si aggiungono 8,8 miliardi di euro di gas naturale, cioè più di un terzo del totale importato, e altri 5,7 miliardi in prodotti petroliferi raffinati. Un’esposizione sistemica, parzialmente ridotta dopo il taglio del gas russo, ma ancora critica.
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Gli effetti economici del caos mediorientale
Le prime conseguenze dell’acuirsi della crisi sono già evidenti. La Borsa di Milano ha reagito con nervosismo nelle ore successive al raid israeliano. Il prezzo del petrolio ha segnato un aumento dell’11% nell’arco di un mese, toccando i massimi da inizio anno. L’International Energy Agency ha avvertito che nuovi attacchi in aree strategiche potrebbero compromettere rotte chiave per le forniture globali. E non è solo questione di shock immediato: secondo l’ultima analisi del Ministero dell’Economia, se il costo del petrolio restasse più alto di 10 dollari al barile rispetto allo scenario base e quello del gas di 10 euro al megawattora, l’impatto sul PIL italiano sarebbe di una perdita di 0,2 punti nel 2026 e di 0,1 punti nel 2027. Un colpo secco alle previsioni di ripresa, già modeste (+1,2% nel 2025 secondo Istat).
Ancora più pesante l’effetto sulle aspettative d’inflazione. Il timore che la Banca centrale europea possa rinviare ulteriori tagli ai tassi è ormai concreto. Con la crescita degli investimenti che rischia di essere congelata, l’industria italiana si trova esposta in prima linea a una guerra economica parallela a quella dei dazi scatenata dagli Stati Uniti trumpiani.
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Nove punti percentuali di export in area instabile
Ma è sul fronte commerciale che la fragilità italiana emerge con più forza. Dei 25 Paesi considerati a rischio da Confartigianato, ben 17 sono in Medio Oriente. Solo in quest’area, il valore delle esportazioni italiane tocca i 27,1 miliardi di euro. A questi si aggiungono altri 21,9 miliardi complessivi diretti verso Egitto, Libia e Turchia — Paesi confinanti e potenzialmente destabilizzati dalla crisi regionale — e ulteriori 6,6 miliardi di export verso Russia, Ucraina e Bielorussia. Infine, l’India e il Pakistan, protagonisti a inizio maggio di nuove tensioni al confine, assorbono complessivamente 5,8 miliardi di euro di made in Italy.
Nel primo trimestre del 2025 si registra un ristagno complessivo dell’export italiano verso questi mercati: –0,6% rispetto allo stesso periodo del 2024. Il dato complessivo nasconde però una forbice ampia. L’export è crollato del 14,7% nei Paesi a ridosso del Medio Oriente — Libia, Egitto, Turchia — e del 10,4% nei territori della guerra russo-ucraina. Di segno opposto invece il Medio Oriente propriamente detto, che ha segnato un +13,7%, e l’area India-Pakistan con +6%.
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Emirati e Arabia Saudita restano trainanti, ma gli altri frenano
Tra i mercati più dinamici spiccano gli Emirati Arabi Uniti, con 8,4 miliardi di euro di export nel primo trimestre, in crescita del 21,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Bene anche l’Arabia Saudita con 6,4 miliardi e un aumento del 10,1%. Israele, in pieno conflitto, registra un +12%, a riprova di una tenuta strutturale delle relazioni economiche. In forte espansione anche il Kuwait, che triplica il volume delle importazioni italiane (+154%), segnale di una ricomposizione dei flussi.
Al contrario, il Qatar accusa un calo del 18,3%, e il Libano scende del 4,6%. Peggio ancora i Paesi di confine: la Turchia crolla del 17,8%, l’Egitto registra un calo dello 0,7% e la Libia perde il 5,5%. Quanto alla Russia, l’export italiano è ancora in picchiata: –17,1% nel primo trimestre, un trend aggravato dalle sanzioni e dalle difficoltà logistiche. Più stabili i flussi verso l’Ucraina (+8,3%) e il Pakistan (+8,7%), mentre l’India si conferma partner strategico in espansione con un +5,7%.
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Le micro e piccole imprese in trincea
Ma c’è un dato che preoccupa più degli altri: un terzo dell’export italiano verso i 25 Paesi coinvolti arriva da micro e piccole imprese. In valore assoluto, si parla di 20,3 miliardi di euro. Settori come la moda, l’alimentare, l’arredamento, l’occhialeria, la gioielleria e la meccanica leggera sono tutti comparti ad altissima intensità di MPI, e dunque più vulnerabili in caso di interruzione dei flussi commerciali o di improvvisi rincari energetici.
Nel dettaglio, il settore più esposto è quello dei macchinari e impianti, con 14,3 miliardi di euro di esportazioni nel 2024, pari al 23,2% del totale nei Paesi a rischio. Seguono le altre manifatture — in particolare gioielli e occhiali — con 9,7 miliardi (15,7%), la metallurgia con 5,1 miliardi (8,2%) e la moda con 5 miliardi (8,2%). Questi comparti, insieme, rappresentano l’anima produttiva dei distretti industriali italiani, e la loro tenuta è oggi legata a doppio filo all’andamento dei mercati internazionali più instabili.
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La fragilità energetica e l’urgenza di una nuova strategia
Sul fronte energetico, se la dipendenza dalla Russia è crollata dal 64% del 2021 a meno del 10% oggi, l’Italia resta tuttavia esposta al rischio di interruzioni o rincari nelle rotte alternative. Il gas algerino, ad esempio, ha compensato solo in parte il vuoto lasciato da Mosca, e l’approvvigionamento via LNG (gas liquefatto) da USA, Qatar e Nigeria è soggetto a dinamiche di mercato globali.
Il sistema gas italiano è oggi più flessibile, grazie a infrastrutture come il TAP e il nuovo rigassificatore di Piombino, ma ancora fragile. E soprattutto, non protetto da un coordinamento strategico europeo che permetta acquisti congiunti o investimenti condivisi su larga scala.
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L’Italia deve scegliere: rincorrere o guidare?
La lezione è semplice. Se l’Italia vuole difendere il suo export e ridurre la sua vulnerabilità energetica, deve investire su tre direttrici: diversificazione strutturale delle fonti, protezione attiva delle MPI sui mercati esteri e diplomazia commerciale capace di aprire nuovi corridoi alternativi.
Il tempo degli allarmi è finito. Davanti alla nuova instabilità globale, l’unico errore sarebbe rimanere fermi.