Trump minaccia la guerra? E vero o è l’ennesimo show?
- di: Jole Rosati

Il presidente alza il tiro contro Teheran tra proclami bellici e tensioni interne. Ma tra economia in affanno e diplomazia in stallo, l’America si interroga: andrà fino in fondo?
Un attacco all’Iran è davvero sul tavolo?
Donald Trump ha “seriamente valutato” l’ipotesi di un attacco diretto contro gli impianti nucleari iraniani, con un’attenzione particolare al sito sotterraneo di Fordow, secondo quanto riferito giugno 2025 da Axios, citando fonti all’interno della Casa Bianca. L’ipotesi è più di una provocazione verbale: al Pentagono è già in corso un confronto operativo, con briefing ad alto livello nella Situation Room.
Ma la domanda che tiene il mondo col fiato sospeso è un’altra: Trump fa sul serio, o sta semplicemente recitando la parte del comandante in capo in un nuovo episodio del suo eterno reality politico?
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Parole di fuoco: “Sappiamo dov’è Khamenei”
In una raffica di messaggi pubblicati su Truth Social nella giornata di oggi, Trump ha messo in scena tutta la forza della sua retorica: “Sappiamo esattamente dove si nasconde il cosiddetto ‘Leader Supremo’. È un bersaglio facile… ma non lo elimineremo, almeno non per ora”, ha scritto. Poi, senza mezze misure, ha chiesto la “resa incondizionata” dell’Iran, sempre in maiuscolo, aggiungendo che gli Stati Uniti avrebbero il “controllo totale dei cieli” sul territorio iraniano grazie a una tecnologia che – parole sue – “nessuno sa costruire meglio della cara, vecchia USA”.________________________________________
Netanyahu va avanti da solo
Ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe già deciso da tempo di completare il cerchio: dopo aver devastato Hamas, colpito Hezbollah e frenato gli Houthi, ora punta alla “testa del serpente”. Il riferimento è ai vertici iraniani e, per alcuni, a un possibile cambio di regime a Teheran. Israele, ancora una volta, avrebbe agito da solo, senza attendere l’avallo americano. Con Biden lo faceva abitualmente. Con Trump, non è diverso.
Per alcuni analisti – ad esempio riportati dal Washington Post– si tratta di una dinamica chiara: Netanyahu cavalca l’onda dell’insicurezza per salvare se stesso, dopo i disastri del 7 ottobre e le critiche planetarie sulla guerra a Gaza. Trump, al contrario, preferirebbe negoziare. Almeno a parole.
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Due leader, due lingue diverse
Il contrasto tra Netanyahu e Trump non è solo tattico, ma di visione. Il tycoon americano si muove in modo oscillante: un giorno rilancia la diplomazia, il giorno dopo minaccia missili. Un comportamento che – sottolinea il Guardian - ha spiazzato anche l’apparato militare statunitense.
E mentre Tel Aviv guarda alla guerra, la Casa Bianca riceve messaggi da parte iraniana, anche tramite intermediari arabi sunniti, con una possibile apertura al dialogo. È il segno che l’Iran, consapevole del proprio isolamento e della superiorità militare israeliana, cerca di evitare lo scontro diretto.
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Il sospetto: creare panico per sviare l’attenzione
Non sono pochi negli Stati Uniti a pensare che Trump stia giocando d’astuzia. Che la minaccia di guerra serva in realtà a distogliere l’opinione pubblica da un’economia che non decolla e da problemi interni sempre più gravi. L’inflazione resta fuori controllo – come riportato dalla CNN il 16 giugno – e le sue promesse elettorali sul “chiudere i conflitti” si sono scontrate con una realtà ben più intricata.
La sua uscita anticipata dal G7 di Kananaskis, in Canada, è stata letta da molti come un segnale di escalation. Ma secondo altri, è solo l’ennesimo colpo di teatro. Una fuga programmata per mettersi al centro della scena e dare l’illusione del comando.
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Il rischio di un’escalation senza controllo
Secondo la CNN, l’intelligence americana ritiene che Teheran non sia in grado di sviluppare un’arma nucleare prima di almeno tre anni. Un quadro ben diverso da quello dipinto da Israele, che da mesi insiste su un’“emergenza atomica” imminente. Ma se i dati americani sono corretti, il raid che Trump sta valutando servirebbe più a impressionare che a prevenire.
Eppure, la partita è rischiosissima. L’Aiea ha confermato a inizio giugno che l’Iran non ha collaborato alle ispezioni e che l’arricchimento dell’uranio ha già superato il 60%. Una soglia che inquieta, anche se non ancora sufficiente per costruire una bomba.
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L’America è pronta a un’altra guerra?
È la domanda che nessuno sembra voler affrontare apertamente. L’opinione pubblica americana – affaticata da anni di conflitti e illusioni – guarda con crescente distacco. Secondo un sondaggio di Pew Research Center (15 giugno 2025) il 63% degli americani è contrario a qualsiasi intervento militare diretto in Medio Oriente.
Nel frattempo, il Partito Repubblicano si spacca. I falchi come Tom Cotton invocano attacchi preventivi, mentre la frangia più vicina al movimento MAGA, da Rand Paul a JD Vance, frena: “Trump è stato eletto per portare a casa i ragazzi, non per farne partire altri”, ha dichiarato Paul su Fox News.
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Il pericolo del teatro geopolitico
Donald Trump si muove come sempre sul filo tra provocazione e strategia. I suoi proclami potrebbero rientrare nella solita sceneggiatura ad alto impatto. Ma questa volta il terreno è minato, e la guerra con l’Iran non è un’ipotesi da liquidare come semplice bluff.
La storia insegna che i leader sotto pressione interna spesso cercano gloria all’estero. E Trump, incalzato da dati economici negativi, da promesse disattese e da un Netanyahu che fa di testa sua, potrebbe davvero decidere di premere quel pulsante. Anche solo per non perdere la scena. Ma la posta in gioco, questa volta, è altissima.