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Israele e Hamas si scambiano le liste per lo scambio di prigionieri: “A Sharm el-Sheikh prevale l’ottimismo”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Israele e Hamas si scambiano le liste per lo scambio di prigionieri: “A Sharm el-Sheikh prevale l’ottimismo”

Dopo settimane di stallo, le due delegazioni di Hamas e Israele hanno fatto un passo importante: si sono scambiate le liste dei prigionieri e degli ostaggi da liberare. A confermarlo è Taher al-Nunu, portavoce di Hamas e membro della delegazione che partecipa ai colloqui in Egitto: «L’ottimismo prevale tra tutte le parti», ha detto all’agenzia Afp, lasciando intendere che questa volta le trattative potrebbero davvero portare a un accordo.

Israele e Hamas si scambiano le liste per lo scambio di prigionieri

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, Hamas non punta solo a liberare i detenuti ancora in vita, ma chiede che vengano restituiti anche i corpi di Yahya e Muhammad Sinwar, i due leader dell’ala militare uccisi nei mesi scorsi da Israele, oltre ai resti di altri combattenti palestinesi. In cambio, Hamas si dice pronta a rilasciare 48 ostaggi che restano ancora nelle mani di diversi gruppi armati a Gaza.

Il contesto dei negoziati
Lo scambio di prigionieri e ostaggi è considerato un tassello fondamentale per tentare di sbloccare il conflitto. Da mesi la comunità internazionale – con Stati Uniti, Qatar ed Egitto in prima linea – sta mediando per arrivare a un cessate il fuoco duraturo.
L’idea di un accordo che includa sia il rilascio degli ostaggi sia la restituzione dei corpi dei leader di Hamas è vista come un possibile punto di svolta, anche se le tensioni sul terreno restano altissime.

A Sharm el-Sheikh, raccontano fonti diplomatiche, l’atmosfera è ancora tesa, ma per la prima volta da settimane c’è una percezione di “progresso reale”. Restano da definire i tempi, le modalità e le garanzie di sicurezza che entrambe le parti pretendono prima di mettere la firma a un’intesa.

Freedom Flotilla fermata in mare
Mentre la diplomazia prova a tessere un fragile filo di dialogo, il conflitto si sposta anche sul mare.
La Freedom Flotilla, una missione composta da nove imbarcazioni che trasportavano attivisti e aiuti umanitari diretti verso Gaza, è stata intercettata dalla marina israeliana a circa 120 miglia nautiche dalla Striscia.

Secondo quanto riferito dal coordinatore della Freedom Flotilla Italia, Zaher Darwish, a bordo della missione c’erano anche nove cittadini italiani, sei dei quali si trovavano sulla nave Conscience.
«Non abbiamo più contatti con loro dal momento dell’abbordaggio», ha spiegato Darwish, annunciando di aver già allertato il team legale internazionale di Adalah, un’organizzazione israeliana che si occupa della tutela dei diritti dei palestinesi.
«Gli avvocati sono già arrivati al porto e attendono che i fermati siano trasferiti per poter offrire loro assistenza legale», ha aggiunto.

Un equilibrio fragile
La contemporaneità di questi due fronti – i negoziati di pace e l’intercettazione della Flotilla – mette in evidenza la fragilità della situazione.
Da un lato, la diplomazia sembra aver trovato un varco per discutere seriamente di uno scambio di prigionieri e ostaggi, che potrebbe rappresentare un primo passo verso un cessate il fuoco e, forse, una fase di de-escalation.
Dall’altro, gli episodi sul campo, come il blocco delle imbarcazioni umanitarie, continuano a rischiare di minare la fiducia reciproca e di alimentare la tensione internazionale.

A preoccupare, spiegano alcune fonti europee, è il rischio che nuove azioni militari o incidenti durante le operazioni navali possano riaccendere la violenza e vanificare gli sforzi negoziali. Anche per questo la comunità internazionale sta esercitando pressioni sulle parti affinché si impegnino a garantire gesti concreti di distensione.

Il ruolo dell’Italia
Il coinvolgimento di nove cittadini italiani tra i fermati dalla marina israeliana aggiunge un ulteriore livello di attenzione politica e diplomatica.
La Farnesina segue con «la massima attenzione» la vicenda e resta in contatto con le autorità israeliane e con i legali di Adalah per verificare le condizioni dei connazionali.

Sul piano politico, l’episodio rischia di inasprire il dibattito in Italia, dove movimenti e associazioni hanno chiesto un maggiore impegno del governo nel sostenere le iniziative umanitarie a favore della popolazione civile di Gaza.

Prospettive incerte
Il negoziato di Sharm el-Sheikh resta il vero banco di prova per capire se il conflitto possa avviarsi verso una fase di riduzione delle ostilità.
Gli analisti avvertono che anche in caso di accordo sullo scambio di prigionieri, le questioni di fondo – dal futuro governo di Gaza al controllo dei valichi di frontiera e alle garanzie di sicurezza per Israele – restano irrisolte e rischiano di riaccendere lo scontro.

Per ora, però, l’annuncio dello scambio delle liste e il clima di «ottimismo prevalente» raccontato dai mediatori rappresentano un raro segnale di speranza in un conflitto che da mesi sembra bloccato in un circolo di violenze e rappresaglie.
Resta da vedere se alle parole seguiranno fatti concreti e se il fragile dialogo nato sulle rive del Mar Rosso saprà resistere alle inevitabili pressioni di chi, da entrambe le parti, continua a puntare sul confronto armato.

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