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Israele approva la pena di morte per i terroristi. Hamas: "Legge razzista"

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Israele approva la pena di morte per i terroristi. Hamas: 'Legge razzista'

La Knesset ha approvato in prima lettura una legge che introduce la pena di morte per chi commette attacchi terroristici contro cittadini israeliani.
È un passaggio politico più che tecnico: la norma dovrà superare altri voti, ma segna un cambio di passo nel linguaggio e nelle priorità del governo Netanyahu, sempre più vicino alle posizioni dell’estrema destra.
Il messaggio, dentro e fuori Israele, è chiaro: tolleranza zero verso chi colpisce lo Stato ebraico.

Israele approva la pena di morte per i terroristi. Hamas: "Legge razzista"

Da Gaza, la risposta di Hamas è arrivata subito.
In un comunicato rilanciato dalla tv qatarina Al Araby, il movimento islamista ha definito la legge «un’estensione dell’approccio razzista e criminale del governo sionista» e «un tentativo di legittimare l’uccisione di massa dei palestinesi».
Hamas chiede ora a ONU e organizzazioni per i diritti umani di condannare «questa pericolosa legislazione» e di imporre sanzioni deterrenti contro Israele, accusato di voler “normalizzare la violenza istituzionale”.

Una misura dal forte valore simbolico
In Israele, la pena di morte è un tabù: è stata applicata una sola volta, nel 1962, contro il criminale nazista Adolf Eichmann.
Da allora, nessun governo aveva mai davvero riaperto la questione.
Ora però la misura è diventata una bandiera politica. I ministri della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e della giustizia Yariv Levin la presentano come una risposta “necessaria” agli attacchi palestinesi e un segnale di forza verso l’elettorato più radicale.

La spinta dell’estrema destra e la fragilità di Netanyahu
Dietro l’iniziativa legislativa c’è anche la fragilità del governo Netanyahu, che cerca coesione dentro una coalizione attraversata da tensioni interne.
Per il premier, accettare la linea dura sulla sicurezza è un modo per mantenere l’appoggio delle frange più estreme e tenere insieme un esecutivo in bilico.
Ma questa scelta rischia di inasprire il conflitto e di isolare ulteriormente Israele sul piano internazionale.

La guerra delle parole e quella sul campo
Hamas, definendo la legge “criminale”, cerca di spostare la battaglia dal terreno militare a quello del diritto e dell’immagine. Israele, dal canto suo, rivendica il diritto a difendersi da chi colpisce civili.
Nel mezzo, resta il vuoto di ogni dialogo. Le due narrative – sicurezza da una parte, resistenza dall’altra – continuano a rincorrersi come da decenni.
E mentre la guerra delle parole infiamma le cancellerie, quella vera continua a consumarsi tra Gaza e la Cisgiordania.

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