Lea Massari, addio all’antidiva: l’eleganza inquieta del cinema italiano
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Lea Massari è morta il 23 giugno scorso, a 91 anni, nella sua casa ai Parioli. La notizia è trapelata solo oggi, come se anche nel commiato volesse restare fedele al suo stile: defilato, sobrio, irriducibile a qualsiasi retorica. Attrice intensa e poco accomodante, Lea Massari – al secolo Anna Maria Massatani – non è stata solo un volto iconico del cinema d’autore europeo: è stata un’assenza consapevole nel sistema dello spettacolo. Una donna che ha saputo dire no, sparire quando l’industria diventava invasiva, scegliere ruoli scomodi e profondi. È stata la protagonista di alcune delle pagine più complesse del cinema italiano, ma anche interprete raffinata della grande televisione pubblica. Eppure il suo nome è rimasto ai margini della mitologia popolare, forse proprio perché non si è mai concessa al culto della celebrità.
Lea Massari, addio all’antidiva: l’eleganza inquieta del cinema italiano
Era il 1960 quando Michelangelo Antonioni la scelse per L’avventura. Il suo personaggio, Anna, scompariva nel nulla durante una gita su un’isola: un’assenza che diventava emblema di crisi, frattura, modernità. In quel film, Lea Massari incarnava la sparizione come gesto espressivo, anticipando la sua stessa biografia artistica. Da allora ha attraversato la cinematografia europea come un’apparizione inquieta: Una vita difficile di Dino Risi, Il posto di Ermanno Olmi, Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi, La prima notte di quiete di Valerio Zurlini, Soffio al cuore di Louis Malle. Sempre ruoli di confine, mai rassicuranti, sempre segnati da un’intelligenza morale. A teatro, in televisione, al cinema, Massari era presenza che scuoteva e lasciava una scia lunga, non immediata.
Una carriera costruita sulla coerenza
Dopo gli studi in architettura e una giovinezza cosmopolita tra Roma e la Svizzera, Massari esordì nel cinema nel 1954 con Proibito di Mario Monicelli. Ma fu negli anni Sessanta e Settanta che raggiunse l’apice, senza mai cadere nella trappola della popolarità. Vinse due Nastri d’Argento e un David speciale, fu in giuria al Festival di Cannes nel 1975, interpretò Anna Karenina in una memorabile versione televisiva diretta da Sandro Bolchi nel 1974, la Monaca di Monza ne I Promessi Sposi, Agrafena ne I fratelli Karamazov. Scelse di smettere quando capì che il tempo del buon cinema stava cambiando. L’ultima sua apparizione risale al 1990, in Viaggio d’amore accanto a Omar Sharif. Poi il silenzio.
Un’intimità ostinata contro il culto della visibilità
Lea Massari si è ritirata a vivere prima in Sardegna, poi a Sutri, vicino Viterbo, dove è stata sepolta in forma privata nella cappella di famiglia. Negli ultimi anni aveva scelto una vita schiva, accompagnata dalla musica – suonava la chitarra classica – e da un impegno civile costante in favore dei diritti degli animali. Antica cacciatrice diventata animalista convinta, vendette persino i suoi gioielli per sostenere le spese veterinarie degli animali che accudiva. Una vita lontana dai riflettori, ma coerente fino all’ultimo giorno con un’idea alta e seria del mestiere di attrice. Non ha mai cercato icone o bandiere sotto cui farsi riconoscere. La sua cifra era la complessità, mai l’adesione.
Le tracce che restano
Non era un’eroina femminista ante litteram, né un simbolo alternativo costruito a tavolino. Era un’artista che credeva nel peso della parola e nel valore del silenzio. Un’attrice che parlava agli occhi più che alle orecchie. Lea Massari è stata una donna fuori tempo e fuori schema, e in questo somiglia ai personaggi che ha interpretato. Nessuna cerimonia pubblica, nessun necrologio spettacolare: solo la scia di film che chiedono di essere rivisti, perché ancora parlano, ancora disturbano, ancora insegnano. In tempi in cui tutto si dice e tutto si consuma, Lea Massari ha scelto il contrario: scomparire per restare.