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In Lombardia primo caso di suicidio assistito: la storia di una donna malata di sclerosi multipla

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
In Lombardia primo caso di suicidio assistito: la storia di una donna malata di sclerosi multipla

Aveva 50 anni e da oltre 30 conviveva con una diagnosi senza scampo: sclerosi multipla progressiva. Una condizione che nel tempo l’aveva resa completamente dipendente dagli altri, costringendola a un’esistenza di immobilità e sofferenza. Nelle scorse settimane, nel silenzio della sua casa in Lombardia, ha scelto di porre fine alla sua vita attraverso il suicidio assistito, grazie alla somministrazione di un farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale.

In Lombardia primo caso di suicidio assistito: la storia di una donna malata di sclerosi multipla

Il suo caso segna un precedente importante: è il primo in Lombardia e il sesto in Italia dall’entrata in vigore delle disposizioni della Corte Costituzionale che, con la sentenza del 2019, hanno aperto la strada alla possibilità di accedere alla morte assistita per alcune categorie di pazienti.

Una battaglia lunga e dolorosa
La decisione della donna non è stata un atto improvviso. Da tempo aveva avviato il percorso legale e medico per ottenere l’accesso al suicidio assistito, un iter complesso che ha richiesto la certificazione delle sue condizioni di salute, la verifica della sua capacità di intendere e di volere e l’accertamento che il dolore da lei patito fosse insopportabile e non trattabile.

Un processo che ha visto il coinvolgimento diretto dell’Associazione Luca Coscioni, da anni in prima linea nella difesa del diritto all’autodeterminazione dei pazienti. Filomena Gallo e Marco Cappato (nella foto), rispettivamente segretaria nazionale e tesoriere dell’associazione, hanno confermato la notizia e sottolineato il valore di questo caso nella battaglia per il riconoscimento dei diritti dei malati.

Il farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale
Grazie all’iter avviato nei mesi scorsi, la donna ha potuto ottenere non solo l’autorizzazione a procedere, ma anche il farmaco necessario per l’auto-somministrazione e la strumentazione adeguata. Un passaggio che segna un’evoluzione rispetto ai precedenti casi, in cui i pazienti si erano dovuti recare all’estero o procurare autonomamente il farmaco, spesso con l’aiuto di associazioni.

La somministrazione è avvenuta nel rispetto della procedura, nella sua abitazione, alla presenza dei familiari. La donna ha potuto scegliere il momento e il modo in cui dire addio, ponendo fine a una condizione che lei stessa aveva definito “non più sopportabile”.

Un tema ancora aperto in Italia

Il suicidio assistito in Italia rimane un tema controverso. La sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito i criteri in base ai quali un paziente può accedere a questa possibilità, ma manca ancora una legge organica che regoli in modo chiaro e uniforme il diritto a morire con dignità.

Mentre alcuni tribunali e aziende sanitarie si muovono nel solco delle decisioni della Consulta, molte persone si trovano ancora costrette a ricorrere a viaggi all’estero, con costi elevati e procedure difficili da affrontare.

Il caso della cinquantenne lombarda dimostra che un percorso è possibile anche in Italia, ma il dibattito resta aperto. Perché, come ha dichiarato Marco Cappato, “ogni persona dovrebbe poter decidere sulla propria vita fino alla fine, senza dover affrontare ostacoli e sofferenze inutili”.

Il suo nome non è stato reso noto. Ma la sua storia, inevitabilmente, segna un nuovo capitolo nella battaglia per il diritto a scegliere.

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