Stretta su perdite e riserve al posto dell’ulteriore aumento dell’Irap. Opzione donna resta senza coperture, affitti brevi e dividendi in bilico, mentre l’oro di Bankitalia finisce sul tavolo della Bce.
Foto: (il ministro a Economia e Finanze, Giovanni Giorgetti).
Cosa c’è nell’accordo: niente Irap al 2,5%, ma più tasse “nascoste”
L’intesa tra governo e sistema bancario sulla manovra 2026 è ormai definita nei suoi contorni politici:
niente ulteriore aumento dello 0,5% dell’aliquota Irap su banche e assicurazioni,
che sarebbe andato a sommarsi al +2% già previsto dalla legge di bilancio.
Il contributo extra si otterrà invece intervenendo in profondità sul terreno molto tecnico delle
perdite fiscali pregresse e delle riserve.
In pratica, il governo rinuncia al colpo in faccia più visibile – la nuova aliquota al 2,5% –
e sceglie una leva più sofisticata ma comunque pesante per i conti degli istituti:
una ulteriore riduzione della deducibilità fiscale delle perdite accumulate negli anni passati
e un irrigidimento delle regole sull’affrancamento delle riserve.
È un meccanismo meno immediato per l’opinione pubblica, ma che per le banche significa spalmare nel tempo
un gettito aggiuntivo stimato in circa 200 milioni l’anno,
pari a 600 milioni nel triennio.
Il pacchetto è pensato per diventare il cuore delle coperture extra con cui il governo punta
a finanziare gli emendamenti più politici alla legge di bilancio: ritocchi su
affitti brevi, dividendi, compensazioni dei crediti fiscali,
incentivi all’iper ammortamento e alcune misure bandiera richieste dai partiti di maggioranza.
Il ruolo delle banche: meno perdite deducibili, più gettito per lo Stato
Il compromesso nasce dopo giorni di tensione. L’ipotesi di aumentare ancora l’Irap
aveva provocato un fronte contrario compatto nel mondo del credito,
che giudicava il +0,5% un onere eccessivo su un settore già
colpito dalle misure straordinarie degli ultimi anni.
Da qui la trattativa che ha portato alla soluzione alternativa:
intervenire sulle perdite fiscali riportabili, cioè quelle che le banche
possono scontare dalle imposte future.
Con l’inasprimento della norma, lo Stato incassa prima una parte di quelle imposte
che sarebbero state ridotte negli anni a venire. Per gli istituti,
il conto è significativo ma distribuito nel tempo e, soprattutto,
non passa da un aumento nominale dell’aliquota, che avrebbe mandato un segnale politico
e di mercato ben più rumoroso.
A restare nel mirino è anche l’articolo 20 sulla
rivalutazione (affrancamento) delle riserve:
un tema delicato perché incrocia non solo la fiscalità,
ma anche la regolamentazione prudenziale e i margini di manovra del sistema bancario.
In questa cornice si inserisce anche il contributo delle assicurazioni,
che devono fare i conti con un altro tassello della manovra:
l’aumento dell’aliquota dal 2,5% al 12,5%
sulla polizza Rc auto infortuni conducente.
Assicurazioni sotto pressione: Rc auto e trattativa parallela
Per le compagnie di assicurazione la manovra si traduce in un doppio fronte aperto.
Da un lato, il contributo parallelo a quello delle banche per alimentare il miliardo di
coperture aggiuntive che il governo cerca.
Dall’altro, l’emendamento che porta dal 2,5% al 12,5%
l’aliquota sulla componente per infortunio del conducente delle polizze Rc auto.
Anche qui è in corso un tentativo di riequilibrio: la maggioranza cerca di
non scaricare troppo il peso sui premi pagati dagli automobilisti,
mentre il settore lamenta il rischio di un aumento indiretto dei costi per i clienti finali.
L’obiettivo politico dichiarato è mantenere il gettito aggiuntivo,
ma spalmando l’impatto e lavorando su aliquote e basi imponibili
con una combinazione meno esplosiva per il mercato.
Affitti brevi, dividendi e crediti fiscali: gli altri fronti della manovra
L’accordo con banche e assicurazioni non vive in un vuoto pneumatico:
serve infatti a mettere benzina nel serbatoio delle coperture
per una serie di modifiche chieste dai partiti.
Tra i dossier più caldi ci sono:
-
Affitti brevi: l’idea è mantenere al 21% la
cedolare secca per la prima casa data in locazione turistica,
ma irrigidire la soglia oltre la quale si è considerati impresa.
La maggioranza ragiona su un limite fissato a tre immobili,
invece dei cinque originariamente previsti, con aliquote più alte e obbligo di partita Iva
per chi supera la soglia.
-
Dividendi: si lavora a una riduzione della soglia di partecipazione
dal 10% al 5%, con l’introduzione di un
periodo minimo di possesso di due anni per beneficiare
del regime agevolato. Una mossa che punta a favorire investimenti stabili e
a ridurre la speculazione di breve termine.
-
Compensazioni dei crediti fiscali: è in arrivo una
stretta sulle compensazioni, con paletti più severi per ridurre abusi e utilizzi
troppo disinvolti dei crediti. Una misura che piace al Tesoro perché
produce gettito quasi immediato.
-
Iper ammortamento e incentivi agli investimenti:
sul tavolo c’è la ricalibratura degli incentivi,
con l’obiettivo di concentrare le risorse su investimenti ritenuti “strategici”
e con un impatto più diretto sulla crescita.
Tutte queste modifiche hanno un costo, diretto o indiretto.
Ed è proprio per coprirle che il governo si è spinto a chiedere un
contributo aggiuntivo al sistema finanziario,
evitando però di intestarsi formalmente “una nuova tassa sulle banche”.
Il braccio di ferro politico: FI contro l’Irap, Lega punta sul piano casa
Dentro la maggioranza, le priorità non sono identiche.
Forza Italia fa della cancellazione dell’aumento dell’Irap
la propria bandiera: per gli azzurri, colpire le imprese – anche se si tratta di banche
e assicurazioni – è un segnale da evitare in piena rallentamento economico.
La Lega, invece, ha messo in cima all’agenda il
Piano casa, che al momento è rimasto ai margini della manovra
per mancanza di risorse. Il Carroccio ha smesso di evocare la
rottamazione delle cartelle come panacea,
ma continua a chiedere interventi visibili sulla casa e sul ceto medio.
Non meno intensa è la battaglia sulle risorse a disposizione del Parlamento:
il cosiddetto “tesoretto” per gli emendamenti viene ridotto
da 300 milioni in tre anni a 200 milioni
limitati al biennio 2026-2027, con la cancellazione dei
100 milioni previsti per il 2028.
L’opposizione parla di “spazi nulli” e di legge di bilancio dai
saldi regressivi.
Opzione donna di nuovo bocciata: il nodo delle coperture
Sul fronte pensioni, torna al centro la vicenda di
Opzione donna. L’emendamento di Fratelli d’Italia
per prorogare e ampliare la misura – che consente ad alcune lavoratrici
di andare in pensione anticipata accettando un ricalcolo penalizzante
dell’assegno – è stato di nuovo dichiarato inammissibile
per mancanza di coperture.
Per l’opposizione, la vicenda è la prova che le promesse elettorali finiscono schiacciate
tra vincoli di bilancio e priorità diverse. Il Movimento 5 Stelle
parla apertamente di “presa in giro”, accusando il governo di non mettere sul tavolo
nemmeno una proposta seria di finanziamento.
I gruppi di sinistra sottolineano che proprio le lavoratrici con carriere discontinue
e salari più bassi vengono lasciate senza una via d’uscita anticipata.
Da destra, però, arriva la promessa di un “ripescaggio”:
il capogruppo di FdI al Senato assicura che, qualora si trovassero
coperture alternative, l’emendamento potrebbe tornare
in pista nella fase successiva dell’esame in commissione.
Una formula che tiene aperta la porta politica, ma non risolve
il nodo principale: dove trovare le risorse.
Oro di Bankitalia, la Bce entra in scena
Sullo sfondo della manovra si muove un dossier di enorme sensibilità istituzionale:
la proposta di modificare lo status delle riserve auree
detenute dalla Banca d’Italia.
L’emendamento, spinto da una storica pulsione della destra italiana
a “ricondurre al popolo” l’oro custodito dall’istituto centrale,
punta ad affermare esplicitamente che tali riserve
appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano.
La questione ha immediatamente attirato l’attenzione della
Banca centrale europea.
Il governo ha inviato a Francoforte la comunicazione ufficiale sul testo,
e da Roma si sottolinea che il passaggio è avvenuto
“conformemente alle norme”.
Ora si attende il responso della Bce,
che dovrà valutare se il nuovo assetto proposto
rispetta l’autonomia delle banche centrali nazionali e
la cornice giuridica dell’Eurosistema.
Nel frattempo, nel dibattito politico emerge una
doppia retromarcia:
da un lato, prende quota l’ipotesi di ammorbidire fortemente o ritirare
le parti più controverse dell’emendamento;
dall’altro, tramonta l’idea di usare le riserve auree come leva fiscale
o garanzia diretta per la manovra.
Segnale che la consapevolezza dei rischi – in termini di credibilità
sui mercati e di rapporti con la Bce – è ormai diffusa anche nella maggioranza.
Opposizioni sul piede di guerra: saldi regressivi e margini azzerati
Sul fronte politico, le opposizioni si muovono compatte nel denunciare
i saldi regressivi della manovra.
Il Partito democratico contesta la scelta di ridurre
ulteriormente il margine di manovra del Parlamento,
ricordando che i 100 milioni tagliati al 2028
sarebbero stati l’unico spazio per interventi di correzione
in un quadro di risorse già risicatissime.
Vengono inoltre contestate le 21 nuove inammissibilità
deliberate in commissione Bilancio: 4 per materia e 17 per copertura.
Tra queste, oltre a Opzione donna,
compaiono misure come la flat tax al 10%
per l’assunzione di giovani con redditi fino a 35 mila euro
e alcune proposte sul fronte turismo e cultura.
Per i giallorossi e per i 5 Stelle, si tratta della conferma
che la manovra “non ha spazio per chi lavora e per i giovani,
ma trova sempre margini quando si tratta di alleggerire il peso su banche e assicurazioni”.
Cosa significa tutto questo per contribuenti e imprese
Per il cittadino comune, la partita che si gioca tra Palazzo Chigi,
banche e assicurazioni è meno astratta di quanto sembri.
Niente nuova aliquota Irap
non significa che il sistema finanziario esca indenne:
la stretta su perdite pregresse e riserve
potrebbe tradursi, nel medio periodo,
in politiche più caute su credito e investimenti,
soprattutto verso i soggetti più deboli.
Sul fronte affitti brevi,
le modifiche in arrivo promettono di ribilanciare
il rapporto tra locazioni turistiche e residenziali:
chi affitta una sola casa continuerà a beneficiare della
cedolare al 21%,
mentre chi gestisce più immobili si avvicinerà sempre di più
al regime delle imprese, con obblighi fiscali e contributivi più pesanti.
Un passaggio che potrebbe ridisegnare i mercati di alcune grandi città.
Per le lavoratrici interessate a
Opzione donna, il messaggio per ora è chiaro:
la finestra straordinaria di pensionamento anticipato
non verrà prorogata con questa tornata di emendamenti,
salvo colpi di scena in extremis.
Un segnale che conferma quanto la combinazione tra
vincoli di finanza pubblica e
promesse politiche resti esplosiva
e difficilmente componibile senza scelte nette su chi finanziare e chi no.
Sulle riserve auree di Bankitalia, infine,
lo sguardo è ora rivolto alla Bce:
un’eventuale bocciatura o richiesta di correzioni
sarebbe un richiamo pesante per l’esecutivo,
ma allo stesso tempo offrirebbe a Roma l’alibi perfetto
per archiviare, almeno per ora, l’idea di
mettere mano a uno dei pilastri simbolici dell’indipendenza
della banca centrale nazionale.