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Meloni chiama Abu Mazen: «Escalation inaccettabile». E sullo sfondo l’idea di Papa Leone a Gaza

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Meloni chiama Abu Mazen: «Escalation inaccettabile». E sullo sfondo l’idea di Papa Leone a Gaza

Una telefonata, ieri pomeriggio. Giorgia Meloni compone il numero di Ramallah, dall’altra parte risponde Mahmoud Abbas, conosciuto come Abu Mazen, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese. È una conversazione tesa nei contenuti, non nei toni. La premier italiana usa parole misurate ma nette: «La situazione umanitaria a Gaza è ingiustificabile e inaccettabile». Un messaggio diretto, che suona come un avvertimento a Israele e, allo stesso tempo, come una rassicurazione a chi in Europa e nel mondo arabo chiede all’Italia di uscire dal ruolo di spettatore.

Meloni chiama Abu Mazen: «Escalation inaccettabile». E sullo sfondo l’idea di Papa Leone a Gaza

Meloni non si ferma alla denuncia. «Serve un processo politico che conduca a una pace giusta e duratura», ribadisce. È la formula diplomatica che tiene insieme il lessico della condanna e quello della costruzione. Ma sul terreno, intanto, l’escalation continua. I raid israeliani si moltiplicano, le vittime crescono, le infrastrutture collassano. Gaza è sempre più un campo assediato, con i corridoi umanitari bloccati o insufficienti.

Tajani fissa i paletti
Nella stessa giornata, Antonio Tajani, ministro degli Esteri, disegna pubblicamente la cornice della posizione italiana. «Cisgiordania e Gaza devono essere riunificate, senza alcun ruolo per Hamas». Per Roma, l’Autorità Palestinese resta l’unico partner riconosciuto e affidabile. Nessun canale con i movimenti armati, nessuna apertura alla logica militare. È un messaggio che rimbalza anche nelle capitali europee, dove cresce il timore che la frammentazione politica interna al fronte palestinese renda ogni negoziato impossibile.

Un appello fuori dagli schemi
Mentre i diplomatici parlano, arriva una voce imprevista. Madonna, la popstar, lancia un appello: chiede a Papa Leone di recarsi a Gaza. «Lo farebbero entrare», dice, convinta che la sola presenza fisica del pontefice possa rompere il blocco e smuovere le coscienze. È un’idea visionaria, quasi irrealizzabile, ma che racconta il clima: quando la politica sembra impotente, ci si aggrappa ai simboli.

Escalation senza freni
La cronaca racconta di un’escalation che non si ferma. L’aviazione israeliana colpisce aree residenziali, il bilancio dei civili morti sale ogni giorno. A Gaza le scorte di cibo, acqua e carburante si riducono, gli ospedali lavorano senza elettricità stabile, il personale medico è allo stremo. Le immagini che filtrano mostrano bambini feriti, edifici sventrati, famiglie in fuga senza una meta.

Roma tra due fuochi
Per l’Italia, la partita è complicata. Da un lato il legame con Israele, consolidato negli anni e sostenuto anche da settori economici e militari. Dall’altro la necessità di non perdere credibilità nel mondo arabo e mediterraneo, dove la posizione di equidistanza è vista come un test di affidabilità. Meloni cerca di stare su entrambe le sponde, evitando di spostare troppo il baricentro. Il filo diretto con Abu Mazen è un segnale, ma resta da capire quanto peso reale possa avere nei tavoli dove si decide.

La finestra diplomatica
Nei prossimi giorni, il governo punta a muovere le proprie pedine in sede europea, dove l’Italia chiederà una linea comune più incisiva. Ma il tempo gioca contro: l’andamento del conflitto, se non verrà arginato, rischia di bruciare ogni margine per la mediazione. Il richiamo a una pace «giusta e duratura» rischia di restare solo una formula, se non accompagnato da mosse concrete e coordinate.

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