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Gli ostaggi tornano a casa, ma nella Striscia restano solo macerie

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Gli ostaggi tornano a casa, ma nella Striscia restano solo macerie

“Siete felici?”, chiede un giornalista a una donna appena rientrata nella Striscia di Gaza. Lei lo guarda, scossa, e risponde: “No. Non abbiamo più paura delle bombe, ma abbiamo perso tutto. Le case, le cose, le persone care. Non siamo felici”. È questa la fotografia che arriva da Gaza nelle stesse ore in cui il mondo celebra la liberazione degli ultimi venti ostaggi israeliani ancora in vita.

Gli ostaggi tornano a casa, ma nella Striscia restano solo macerie

Hamas li ha consegnati alla Croce Rossa, che li ha poi trasferiti all’esercito israeliano. Ventidue nomi scritti sulle liste degli accordi, venti volti che ritrovano la libertà. A Tel Aviv la piazza esplode di gioia, la Hostage Square si riempie di applausi e bandiere. Tra la folla, sullo sfondo di un cielo finalmente sereno, atterra l’aereo del presidente Trump, accolto dal premier Benjamin Netanyahu.

“Questo accordo è forse la cosa più importante che ho fatto”, dice Trump, appena sceso dall’Air Force One. “Non credo che andrò in paradiso, ma so di aver reso la vita migliore a molte persone.” Poi entra alla Knesset, dove firma il libro degli ospiti: “Questo è un grande e bel giorno, un nuovo inizio”.

Il giorno della gioia, e delle macerie
Mentre in Israele la liberazione degli ostaggi è vissuta come una rinascita collettiva, nella Striscia di Gaza la tregua segna solo un silenzio diverso: quello del dopo. I video diffusi dai reporter locali mostrano famiglie che tornano nei quartieri distrutti, tra le rovine di palazzi crollati e strade ricoperte di sabbia e calcinacci.

Una donna cammina con un bambino per mano tra ciò che resta della sua casa: un muro annerito, un frammento di porta, qualche fotografia raccolta da terra. “Siamo tornati, ma non c’è più nulla”, dice. Lì dove fino a un anno fa c’erano quartieri, mercati, scuole, oggi c’è solo polvere.

Meloni in Egitto: “Giornata storica”
Da Sharm el-Sheikh, dove si tiene il vertice internazionale sul piano di pace, la premier Giorgia Meloni parla di un “giorno storico”. “Gli ostaggi sono stati liberati – scrive sui social – un risultato straordinario, frutto della determinazione della diplomazia internazionale e dell’attuazione della prima parte del piano di pace del presidente americano Trump.”

Al vertice in Egitto si discute il futuro della Striscia, la ricostruzione, la possibilità di un’amministrazione internazionale che accompagni la transizione. “Dal Medio Oriente si accende una luce di speranza dopo due anni di orrori”, aggiunge il ministro degli Esteri Antonio Tajani su X.

La pace, le ferite e la paura che resta
La liberazione degli ostaggi è il primo passo, ma non basta a cancellare la paura. Nella Striscia, tra chi è sopravvissuto, le parole “ricominciare” e “felicità” suonano ancora lontane.
“Non abbiamo più paura dei bombardamenti”, racconta un ragazzo ventenne a un cronista egiziano. “Abbiamo già perso tutto. Non c’è più nulla da temere, ma nemmeno nulla da festeggiare.”

È l’altra faccia della pace: quella in cui i sopravvissuti si muovono tra macerie e speranze, consapevoli che la fine della guerra non coincide con la fine del dolore.

Oggi a Tel Aviv si canta, a Gaza si ricomincia a respirare. Ma l’aria, raccontano i testimoni, sa ancora di polvere e fumo, e la parola “felicità” sembra rimandata a un domani che nessuno sa ancora quando arriverà.

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