La paura, l’apatia e l’illusione del controllo nell’epoca dei rifugi e dei leader che decidono la vita e la morte di milioni senza conoscerne i volti.
L’impotenza appresa
In inglese si chiama Learned Helplessness e si definisce come uno stato psicologico in cui un individuo percepisce di non avere controllo su ciò che gli accade. Quando si sviluppa la convinzione di non poter influenzare positivamente gli eventi e di non essere in grado di risolvere i problemi.
Non conoscevo l’espressione, l’ho imparata leggendo il diario dello scrittore israeliano Eshkol Nevo sul Corriere della Sera. Eshkol usa il termine per descrivere il suo stato d’animo mentre corre nel rifugio adattato nel seminterrato di casa sua, in Israele, per la terza volta in una notte, per sfuggire ai missili iraniani.
Lo scrittore raffronta la sua situazione all’esperimento realizzato nel 1967 da Martin Seligman, uno psicologo americano, che aveva messo in una gabbia un gruppo di cani o topi attraversata da scariche elettriche casuali. Gli animali imparavano che non esisteva correlazione tra i loro tentativi di scappare per evitare la scossa e le conseguenze. Pian piano subentrava l’apatia. Cadevano in depressione. Se non c’è correlazione tra le mie azioni e i risultati, che spazio resta alla volontà individuale, libera?
Come i topi, così Eshkol, con i suoi coinquilini, al suono delle sirene corre verso il rifugio in automatico. La differenza è che, negli allarmi precedenti alla guerra con l’Iran, nel rifugio si raccontavano barzellette, facezie; adesso tutti tacciono, raccolti in se stessi. Sui siti internet si vedono edifici distrutti, e il loro potrebbe essere il prossimo. Una neonata piange senza sosta.
Lo scrittore chiude così il racconto: “Nel rifugio ci sono poche seggiole, perciò le usano gli anziani. I bambini e i ragazzi si siedono o si sdraiano sui materassi stesi a terra in attesa dell’annuncio che si può uscire. Ci possono volere dieci minuti e ci possono volere diverse ore. Non si sa. E nemmeno si sa quando arriverà il prossimo allarme. Bisogna abbandonarsi, per non dire arrendersi, all’incertezza. E aggrapparsi a quanto resta di certo”.
Credo che lo stesso accada nei rifugi iraniani che, forse, sono meno attrezzati di quelli israeliani. Ciò non toglie il senso di impotenza che ognuno vive in determinate situazioni. Sei nelle mani di altri, nella fattispecie di Netanyahu, di Khamenei, di Trump. Gente che non hai mai visto, che non sa della tua esistenza, della tua vita, dei tuoi affetti, ma che può cancellarti dalla faccia della Terra in meno di un secondo.
Non sono un pacifista a buon mercato, come ne vedo tanti in giro. Credo che il regime imposto in Iran dagli ayatollah sia una cosa schifosa, così come quello imposto a Gaza da Hamas. E credo anche che Netanyahu continui a bombardare solo per difendere la sua permanenza al potere.
Di Trump che dire? Nulla, hanno già detto tutto.
È l’eterno dibattito tra i filosofi inglesi Thomas Hobbes e John Locke sulla natura dell’essere umano. L’uomo è cattivo per natura, sostiene Hobbes. L’uomo è buono per natura, sostiene Locke. Ho paura che la gara l’abbia vinta Hobbes.