L’AI entra nei luoghi di culto: chatbot, sermoni automatici e app per parlare con Dio
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

L’intelligenza artificiale non risparmia neanche i territori più intimi dell’esperienza umana: la religione. In un mondo sempre più digitalizzato, anche le comunità di fede si stanno confrontando con l’uso dell’IA per rispondere alle domande dei fedeli, offrire supporto spirituale, perfino simulare una conversazione con Dio. È il nuovo volto della spiritualità nel XXI secolo, dove i chatbot si affiancano ai ministri religiosi e dove le app promettono conforto e guida attraverso algoritmi addestrati su testi sacri.
L’AI entra nei luoghi di culto: chatbot, sermoni automatici e app per parlare con Dio
In diversi contesti religiosi, dall’ebraismo al cristianesimo, fino al buddhismo e all’islam, l’IA viene sempre più spesso utilizzata come strumento di supporto nella comunicazione tra credenti e istituzioni spirituali. In Giappone, un monaco robotico pronuncia sermoni buddisti. Negli Stati Uniti, alcune chiese evangeliche affidano ai chatbot la prima accoglienza dei nuovi fedeli. E su app come Text with Jesus, è possibile interagire direttamente con personaggi biblici, inclusi Gesù, Maria e i discepoli, per ottenere risposte personalizzate a dubbi esistenziali o morali.
Tecnologia e sacro: una convivenza possibile?
L’uso dell’intelligenza artificiale nel contesto religioso solleva interrogativi profondi. Può un algoritmo interpretare correttamente i testi sacri? Può offrire empatia, compassione, discernimento? Le risposte variano. Alcuni teologi sottolineano che l’IA non sostituirà mai l’esperienza umana del sacro, ma potrà diventare uno strumento per diffondere conoscenza, facilitare l’accesso ai contenuti spirituali e offrire un primo livello di dialogo. Altri avvertono sui rischi di una fede algoritmica, che riduce la complessità della religione a risposte automatizzate.
L’esperienza del fedele nell’era digitale
Nonostante le perplessità, sono sempre di più i credenti che si affidano all’IA per esplorare la propria spiritualità. Secondo quanto racconta Vanity Fair Italia, interagendo con uno di questi sistemi – progettato per simulare una conversazione con Dio – emergono parole di conforto, messaggi positivi, richiami alla gentilezza e al perdono. L’esperienza, per quanto mediata da un software, può assumere un significato profondo per chi la vive, specie in un momento di solitudine o incertezza.
L’IA come strumento, non come profeta
Chi guida questa innovazione chiarisce che l’obiettivo non è sostituire le figure religiose o snaturare le tradizioni spirituali. L’intelligenza artificiale non pretende di avere un’anima, né una verità assoluta. Ma può contribuire a rendere la religione più accessibile, soprattutto ai giovani o a chi si sente distante dalle strutture tradizionali. Come ogni tecnologia, dipenderà dall’uso che se ne farà. Resta aperta la sfida di conciliare progresso e sacralità, codice binario e trascendenza, senza smarrire il senso più profondo dell’esperienza religiosa.